Urbanistica INFORMAZIONI

La sfida della post-metropoli e il nuovo piano urbanistico

A distanza di poco più di dieci anni dall’approvazione del suo ultimo strumento di governo del territorio, Genova si è dotata alla fine del 2011 di un nuovo Piano urbanistico comunale (Puc), che si presenta non come un’integrazione del pur recente suo predecessore, ma come un documento programmatico che intende promuovere una nuova visione della città.
I dieci anni intercorsi tra il Puc 2000 ed il nuovo piano sono stati intensi per Genova, interessata da molteplici iniziative di rinnovo urbano culminate in alcuni momenti chiave che hanno coagulato interventi di significativa trasformazione di importanti parti della città: dalle opere del G8 (2001) a Genova Capitale Europea della Cultura (2004), i “grandi eventi” hanno segnato profondamente l’immagine urbana proseguendo quella linea di interventi che erano iniziati negli anni 1990a in seguito all’attuazione dei programmi di riqualificazione urbana.
Il piano recentemente adottato si pone a ridosso della crisi di quel movimento, che per quasi due decenni ha visto la città rinnovarsi sotto l’impulso dei programmi straordinari (e dei relativi cospicui investimenti pubblici). Il nuovo piano urbanistico si investe del compito, ambizioso e impegnativo, di mettere a sistema le diverse istanze provenienti dalla società genovese e, contemporaneamente, riaffermare con forza il ruolo guida dell’AC nel governo dei processi che dovrebbero riposizionare Genova nel contesto europeo e continentale.

La visione


Il nuovo piano sceglie di proporre come quadro iniziale a sostegno di quelle che saranno poi le sue scelte strategiche una grande visione riguardo il ruolo che Genova potrà giocare nel contesto europeo nei prossimi decenni. L’immagine di Genova come porta del Mediterraneo connessa attraverso i grandi Corridoi europei con l’area padana e soprattutto con l’Europa centrale è l’idea guida iniziale, che si materializza nel primo dei tre livelli in cui il piano si articola: il livello territoriale di area vasta. E’ da tale sguardo di ampio respiro che questa visione prende forma: porto, città, infrastrutture sono visti come un sistema integrato che, laddove si realizzassero gli interventi infrastrutturali previsti, dovrebbero connettere l’area genovese al suo vasto retroterra. Certamente interessante ed anche innovativo è il concetto di “area vasta” proposto: non si tratta tanto dell’area metropolitana in senso stretto (che peraltro a Genova è storicamente sempre stata piuttosto debole), quanto dell’Italia nord occidentale, avvicinandosi in questo all’idea di piattaforma territoriale, già sperimentata (pur tra risultati contraddittori) a livello Ministeriale. Si può ritenere, rinforzati in quest’idea da autorevoli opinioni (Shane, 2011; Secchi 2011, Sassen 2009), che l’attuale fase urbana di post-metropolizzazione richieda questa concezione di più largo respiro, che sappia legare i destini di una città a quelli delle dinamiche globali e dove quindi è più appropriato fare riferimento a regioni urbane vaste e ai loro reticoli di città. D’altra non si può non constatare come una simile impostazione sia ancora carente di strumenti operativi che traducano in piani e programmi di reale operatività i problemi emergenti a tale scala di riferimento. In questo senso il Puc di Genova sembra lanciare una sfida, che dovrà essere raccolta dagli Enti sovraordinati e dagli attori non solo locali che, nella fase di discussione avviata (logica prosecuzione della linea di partecipazione alla costruzione del piano che è stata una delle scelte metodologiche alla base del processo avviato), dovranno dare forza e contenuto a questa visione, integrando il piano urbanistico con progetti e programmi di più vasto respiro. Si deve peraltro notare, come punto di debolezza potenziale, il fatto che tale visione di area vasta sia supportata solo dal disegno infrastrutturale (sul quale peraltro gravano i noti rischi in ordine alla fattibilità delle opere), al quale si potrebbero utilmente affiancare anche visioni sulle reti ecologiche, sulle reti (materiali e non) di comunicazione, sul sistema urbano complessivo.

Le scelte strategiche


Il nuovo piano pone come presupposto alle scelte di dettaglio alcune scelte vincolanti.
In primo luogo l’arresto del consumo di suolo, che trova la sua trasposizione nel piano attraverso il tracciato della cosiddetta “linea verde”, una linea di demarcazione definitiva tra l’urbano e il verde di cornice. Un’operazione analitica svolta con particolare cura negli studi preliminari alla formazione del Puc e peraltro facilitata dalla particolare conformazione morfologica urbana, assai meno sfrangiata e dispersa verso i territori aperti che non in altre realtà urbane italiane. La linea verde dovrebbe segnare con forza quella che è considerata l’ultima frontiera urbana. Tutti gli interventi di trasformazione urbana sono concepiti all’interno di detta linea, andando ad interessare il brownfield e i sedimi interni alla città e comunque già urbanizzati.
Una seconda scelta strategica riguarda l’opzione per il trasporto collettivo. L’idea è quella del riutilizzo a fini metropolitani delle linee ferroviarie esistenti che interessano tutto il fronte urbano litoraneo oltre che la linea di penetrazione verso l’appennino costituita dalla Valpolcevera. Sfruttando l’ampio numero di stazioni ferroviarie urbane e prevedendone la realizzazione di nuove, si è tracciato un progetto di connessione urbana in sede protetta che integra in un unico sistema il trasporto ferroviario metropolitano, la linea metropolitana e le linee di trasporto in sede protetta di superficie. Si pensa in questo modo di trasferire ampie quote di passeggeri dalla modalità individuale a quella collettiva, alleggerendo i carichi ambientali e migliorando l’accessibilità urbana complessiva.
La terza scelta strategica riguarda la sostenibilità del piano e lo attraversa trasversalmente: dalla dimensione urbana (attraverso il progetto della rete verde) fino alle scelte locali, sia nelle previsioni di nuove dotazioni verdi sia negli scenari di trasformazione urbana. La sostenibilità non riguarda quindi unicamente il verde, ma interessa anche i settori delle energie rinnovabili, del contenimento dei consumi energetici, del patrimonio edilizio, del ciclo dei rifiuti. La sostenibilità si coniuga con la dimensione della costruzione della città “smart”, processo cui l’AC si è fortemente impegnata, giungendo alla definizione di importanti progetti (legati sia al Patto dei Sindaci, sia ai bandi europei sulla “Smart City”). Si è voluto sperimentare anche in questo campo un’operazione ambiziosa di ridefinizione dei contenuti della sostenibilità, tentando di mettere a sistema reti verdi, difesa del suolo, energie rinnovabili e tecnologie intelligenti, promuovendo lungo questa ipotesi di lavoro anche una diversa concezione dell’abitabilità e della qualità di vita. E tentando altresì di porre le basi per un rilancio nell’ottica dell’innovazione di alcune eccellenze imprenditoriali locali, orientandole verso i settori verdi.

La trasformazione urbana


Il piano, come accennato, è articolato su tre livelli: scala vasta, scala urbana e livello locale, mentre l’apparato normativo ricalca piuttosto fedelmente quello indicato dalla Legge urbanistica regionale (Lr 36/1997), che prevede la sostituzione della zonizzazione funzionale con il sistema degli ambiti (di conservazione e di trasformazione) e dei distretti di trasformazione.
Per quanto riguarda la trasformazione urbana, appare significativa la scelta di classificare i distretti di trasformazione secondo una scansione che va dalle previsioni più stabili e definite (laddove le ipotesi progettuali hanno avuto tempo di giungere ad una maturazione più avanzata) a quelle più incerte, che riguardano i cosiddetti distretti di concertazione (il termine allude significativamente ad un’azione di negoziazione avviata dal piano che dovrà definirsi nell’ambito dell’attuazione). In queste situazioni, il piano si spinge solo fino ad un certo livello nel dettare le linee d’azione, con gli schemi di assetto d’area e le schede normative, lasciando un margine di flessibilità agli interventi, sia per quanto riguarda le funzioni insediabili che per quanto riguarda i carichi insediativi. Si tratta di operazioni complesse per i quali il piano non può prevedere fin da subito un esito certo, ma sulle quali non rinuncia a stabilire i principi guida cui dovranno conformarsi gli interventi. Si ripresenta sotto questa visione problematica quello che è un tema aperto nell’urbanistica odierna: ossia il rapporto tra componente strutturale, che dovrebbe indicare il sistema delle invarianti, lo schema generale di assetto, le dimensioni di massima della trasformazione urbana e componente operativa, legata all’attuazione diretta e all’approdo ad un progetto definito fino alla scala architettonica. La legge urbanistica della Regione Liguria non ha adottato lo schema di proposta di riforma Inu con lo sdoppiamento del piano in tali due componenti; il piano di Genova ne riprende necessariamente l’impostazione tradizionale. Eppure con il dispositivo normativo del distretto di concertazione (una novità rispetto al quadro normativo regionale) affronta comunque il problema: l’esplorazione progettuale compiuta attraverso la scheda progetto, che è il risultato di precedenti simulazioni progettuali, è un aspetto interessante che riprende alcune proposte già elaborate dall’urbanistica italiana in tempi non lontani. Rimane il problema legato alla flessibilità delle previsioni per quanto concerne sia il mix di funzioni ammesse, sia i carichi urbanistici variabili: a seconda delle opzioni del mercato urbano (che si può presumere saranno decisive) e della forza (variabile) con cui l’AC potrà o saprà guidare il processo di trasformazione, si potrebbero venire a configurare situazioni dagli esiti anche assai diversi. In questo senso, il piano si è potenzialmente dotato di strumenti di valutazione delle trasformazioni urbane, al fine di garantire la sostenibilità delle scelte che si presenteranno di volta in volta al tavolo della discussione: si fa riferimento alla Valutazione Ambientale Strategica che, definendo con la tecnologia GIS per l’intero territorio urbano il quadro delle criticità e delle opportunità, si pone come sfondo entro il quale valutare la sostenibilità delle trasformazioni.
Va infine segnalata la questione legata alla coerenza complessiva delle scelte urbanistiche. Affinché i distretti non rappresentino un puzzle disorganico di singole operazioni di diverse dimensioni e contenuti, va definito un sistema che le leghi attraverso un filo logico comune. Esso può essere costituito dal disegno spaziale e/o dal legame tra aree di trasformazione e sistema infrastrutturale. Per quanto riguarda la prima opzione, la strada del disegno di assetto spaziale è stata tentata (ma la sperimentazione si è spinta solo fino ad un certo punto) lungo l’asse della Valpolcevera, dove la contiguità degli ambiti di trasformazione ha consentito di immaginare una sorta di “spina”, una dorsale nella quale le aree di trasformazione sono legate non solo tra di loro ma anche con la rete dei trasporti pubblici (soprattutto su ferro) e con le reti del verde e dei servizi, venendo a configurare un sistema integrato con una ben definita connotazione spaziale. Nell’area del medio ponente, dove nei prossimi decenni si concentreranno le maggiori trasformazioni di Genova, forse anche a causa delle incertezze relative alle potenzialità di trasformazione non ancora del tutto definite, questo disegno d’assieme è suscettibile di ulteriori affinamenti progettuali. Per quanto riguarda la seconda opzione il legame tra aree di trasformazione e sistema infrastrutturale appare piuttosto stretto (anche se non in tutti i casi) e questo sembra costituire una buona garanzia per la sostenibilità (almeno in termini trasportistici) delle scelte che verranno operate. Molti dei distretti di trasformazione avranno un ruolo importante nell’incremento delle dotazioni territoriali legate proprio all’accessibilità (parcheggi di interscambio, viabilità, ecc.).
Riguardo poi l’organicità complessiva delle scelte, nel piano non appare esplicitata alcuna gerarchia tra le possibili trasformazioni attivabili, né viene indicata una precisa scansione temporale (o logica) degli interventi. Il piano si configura piuttosto come un contenitore di opzioni diverse da attivare di volta in volta a seconda delle opportunità. Invece di orientarsi quindi verso una strategia apparentemente più organica di tipo strategico programmatorio, si è scelta una via più pragmatica, ma non per questo meno potenzialmente efficace: soprattutto laddove il piano sarà in grado di garantire meccanismi di valutazione in itinere trasparenti ed efficaci. Le schede di valutazione di distretto della VAS e il livello paesaggistico puntuale in primo luogo si configurano come due strumenti potenzialmente utili in questa prospettiva.

La perequazione


Pur non essendo prevista dalla legislazione regionale, la perequazione urbanistica entra nel nuovo Puc come uno degli elementi di maggior rilievo. Nel precedente Puc erano già presenti meccanismi di trasferibilità di diritti edificatori che il nuovo Puc regolamenta in maniera più stringente, modificando la semplice operazione di superficie agibile in un vero e proprio processo perequativo in grado di garantire la necessaria dotazione di nuovi spazi pubblici e una significativa quota di edilizia residenziale sociale.
Il trasferimento di superficie agibile opera, negli ambiti di conservazione e riqualificazione (ossia nella città consolidata) nei casi in cui si intervenga con la demolizione di edifici esistenti che lascino spazio a servizi pubblici: in questi casi i titolari mantengono la quota di edificabilità pari a quanto demolito e possono trasferirla in altri ambiti di riqualificazione secondo meccanismi premianti nel caso in cui il trasferimento avvenga all’interno dello stesso Municipio (l’unità di decentramento amministrativo in cui Genova è stata articolata) o nei Municipi contermini (i soli dove il trasferimento è ammissibile). Oppure opera, in alternativa ai tradizionali meccanismi dell’accordo bonario o dell’esproprio, nei casi delle aree vincolate a servizio pubblico. In questi casi, si attribuisce ai titolari degli immobili oggetto di cessione alla Comune un corrispettivo di superficie agibile relazionato al “giusto controvalore economico dell’immobile ceduto” da utilizzarsi solo nei distretti di trasformazione (con vincolo di destinazione che non può cambiare durante il trasferimento), secondo le norme in essi stabilite, che prevedono a questo scopo l’istituto dell’indice di massima densificazione. Si tratta di un meccanismo che, pur nella sua semplicità logica, comporta notevoli problemi gestionali e di valutazione, dal momento che devono essere verificati i rapporti tra aree vincolate e possibilità di densificazione all’interno dei distretti e che devono essere valutate anche temporalmente le trasformazioni ammissibili.
In generale, si tratta di un tentativo forse ancora parziale di introdurre un elemento di innovazione nella pratica urbanistica; una novità per la Liguria, che ha sperimentato solo sporadicamente le potenzialità della perequazione urbanistica e con esiti non sempre positivi.

Il dimensionamento


Il piano si è dotato di un procedimento di auto valutazione degli effetti tramite il dimensionamento del carico insediativo ed il bilancio dei servizi. Una forma di valutazione che si ritiene indispensabile e utile anche se ovviamente non sufficiente a definire da sola i caratteri della qualità urbana. Il piano dichiara una dimensione piuttosto contenuta dell’incremento di carico urbanistico: meno di 50.000 abitanti insediabili a fronte di una popolazione stabile ad oggi di poco superiore ai 600.000 abitanti. C’è da considerare però che nel computo sono considerati solo parzialmente i potenziali incrementi derivanti dalle operazioni di aumento della superficie agibile attivabili sul patrimonio edilizio esistente, significativi, specie in alcuni ambiti di riqualificazione (ad esempio l’ambito complesso di riqualificazione degli assi urbani di attraversamento della città). In ogni caso il dimensionamento è operato a partire dai carichi urbanistici (attuali e di previsione) realmente esistenti e non già sui soli dati anagrafici, che in molte situazioni apparirebbero fuorvianti.
Pur nella prudenza di questa previsione, considerando il trend demografico consolidatosi da anni ci si chiede quali potranno essere i nuovi abitanti che verranno attratti dalla città. Se si tratta di segmenti sociali legati ai settori innovativi, alla ricerca, allo studio di alto livello e alle (potenziali) nuove produzioni, le previsioni di nuove edificazioni previste per densificazione nei distretti appaiono coerenti, dal momento che tali segmenti sociali avranno le possibilità economiche per accedere alle nuove opportunità che si verranno a creare all’interno di tali operazioni. Ma se si pensa ad una più vasta fascia di popolazione dedita ad occupazioni a basso reddito, nel quadro di una crisi che appare di lungo periodo, si pone il problema dell’accesso alla residenza, dal momento che i prezzi di mercato correnti risultano spesso troppo elevati, anche per l’assenza di politiche fiscali capaci di rimettere in gioco il patrimonio edilizio non utilizzato. In quest’ottica appare strategico il ricorso alla residenza sociale, che il piano ipotizza di incrementare per tutti quegli interventi di trasformazione dell’esistente che interessino superfici oltre i 500 mq: quindi operazioni anche relativamente contenute.
Il bilancio dei servizi, infine, porta alla dimostrazione del raggiungimento di quote di dotazioni di servizi pubblici ampiamente superiori ai minimi di legge (18 mq/ab). Questa è una pre-condizione utile alla dimostrazione che il piano migliora le condizioni di qualità urbana. Essa poi si integra con altre previsioni relative agli aspetti socio-sanitari, alle strutture culturali, alla fruizione della costa e in generale all’accessibilità che sembrano andare nella direzione di un effettivo miglioramento della situazione. In generale, però, rimane sul tappeto il problema del reperimento delle risorse per realizzare questo miglioramento quantitativo e qualitativo.

Riferimenti

Gregotti V. (2011), Architettura e post metropoli, Torino, Einaudi.
Sassen S. (2009), “Cities are at the centre of our environmental future”, Sapiens Vol.2 (3).
Secchi B. (2011), “La nuova questione urbana”, CRIOS, n.1.
Shane D.G. (2011), Urban Design since 1945. A Global Perspective, Wiley, Chichester.

Data di pubblicazione: 26 giugno 2012