Urbanistica INFORMAZIONI

La lettura morfologica del sistema insediativo

Operazione propedeutica fondamentale all’operatività – di qualunque genere – sul territorio è rendersi conto della sua complessità e, di conseguenza, dotarsi degli strumenti per interpretarla.
Non è questa la sede in cui ricostruire la storia dei tentativi di afferrare e descrivere dal punto di vista dell’architettura un concetto sfuggente come quello del paesaggio esterno alla città storica e consolidata, argomento che vede, dopo alcune precoci attenzioni negli anni Sessanta, come il numero monografico di Edilizia Moderna dedicato a La forma del territorio (Gregotti1965), una proliferazione di studi a partire almeno dalla XVII Triennale di Milano del 1987-1988 (Mazza 1988), con particolare attenzione da parte della scuola milanese e veneziana(da Lanzani 1991 fino a Munarin e Tosi 2001), e che tuttavia in molti casi non riesce a superare un certo senso di spaesamento a fronte di contesti di difficile lettura e di ancor più ardua governabilità (Boeri et al. 1993, Bianchetti 2003).
È tuttavia possibile affermare che l’aspetto visibile del paesaggio è l’esito di processi di lunga durata, molto diversi tra loro per origini e per logiche (spaziando dai fenomeni geologici alle esigenze di rappresentazione simbolica degli abitanti), che si assommano, si sovrascrivono, più raramente si cancellano, senza soluzione di continuità, definendo il territorio come un vero e proprio palinsesto via via riutilizzato (Corboz 1983). La sommatoria di questi interventi, in un quadro, quale quello italiano, basato largamente sull’incrementalismo e sull’iniziativa individuale (Secchi 2000), definisce un quadro in cui le trasformazioni sono difficilmente reversibili (Rolfo 2009) e il cui accumulo costituisce l’imprescindibile “capitale fisso territoriale” (Antonelli et. al. 2012), base e vincolo per ogni operazione successiva.
A fronte di una tale evidente complessità, prefiggendosi fini operativi, è evidentemente utile riuscire a definire e a riconoscere con una certa chiarezza convenzionale almeno un certo numero di elementi che compongono le strutture insediative del paesaggio.
In alcuni strumenti normativi, la sinteticità e chiarezza espositiva rappresentano una necessità intrinseca, e un approccio del genere può quindi considerarsi un valido punto di partenza: il riferimento è in questo caso all’Approfondimento della Valle di Susa del primo Piano territoriale regionale (Berta e De Rossi 2004, Regione Piemonte 2005), e – soprattutto – ai successivi Indirizzi per la qualità del paesaggio del Piano paesaggistico regionale (Regione Piemonte 2010, Rolfo 2013). Il lavoro di analisi e proposta che ha innervato questi studi ha dato luogo a un sistema interpretativo coerente, espressione di una lunga stagione di studi “torinese” che punta a tenere assieme conoscenza e progetto (cfr. ad es. Giammarco e Isola 1993, In.Fra 2002a, 2002b, 2004).
Sulla base delle analisi degli Indirizzi del Piano paesaggistico regionale può essere definito un vocabolario di elementi che è in grado di contribuire alla lettura morfologica del sistema insediativo territoriale nel suo insieme, identificando quindi una serie di fattori strutturanti, sistemi insediativi e aree a morfologia insediativa omogenea facilmente riconoscibili.
I fattori strutturanti (Fig 1) gli insediamenti sono definiti come “elementi di natura idrogeomorfologica […] o infrastrutturale, ai quali si riconosce un fondamentale ruolo morfogenetico che ha influenzato le morfologie insediative”: si noti che questa categorizzazione tiene assieme e sullo stesso piano, elementi naturali e antropici, in quanto portatori del medesimo significato nei confronti degli sviluppi insediativi, e collaboranti nel loro insieme a definire la sostruzione del territorio. Tali fattori strutturanti sono: crinale, strada, lungofiume/lungolago, pedemonte, terrazzo, conoide, oltre che nuclei edificati storici con funzioni di fulcro; nei confronti degli sviluppi insediativi, essi influenzano localizzazione, allineamento, relazione con l’andamento delle curve di livello, orientamento, modalità costruttive.
Altro tema fondamentale è quello della riconoscibilità dei diversi tipi di sistemi insediativi, che in larga parte si appoggiano ai fattori strutturanti (Fig 2); essi possono essere distinti in sistemi insediativi concentrati, lineari e aperti. I sistemi insediativi concentrati, generalmente organizzati a partire da nuclei storici puntuali che ne costituiscono l’innesco e l’area centrale, strutturano la loro crescita lungo direttrici radiali, investendo anche le aree comprese tra le direttrici stesse. I sistemi insediativi lineari, in genere meno complessi, si appoggiano a un fattore strutturante lineare (strada), talvolta in associazione a ulteriori elementi lineari (crinali, lungofiumi, fondovalle ecc.); originati spesso da un insediamento puntuale (per esempio in occasione di un nodo infrastrutturale), proseguono la loro crescita in maniera “monodimensionale”. Altra categoria, infine, è quella rappresentata dai sistemi insediativi aperti: scarsamente strutturati, a bassa densità, essi sono fortemente appoggiati alla preesistente organizzazione rurale del territorio e presentano modalità di crescita incrementali e discontinue.
Interessante inoltre è considerare l’interrelazione (incrocio) tra i diversi sistemi insediativi, un tipo di situazione generatasi tendenzialmente di recente come esito di processi di espansione. L’incrocio tra sistemi lineari – che possono appoggiarsi a fattori strutturanti lineari differenti – determina nei punti di saldatura dei nodi densificati, talvolta riconoscibili per l’insediamento di funzioni specializzate. L’incrocio tra sistemi concentrati si attua, in linea di massima, lungo gli assi in uscita, determinando una fascia a minore densità e strutturazione rispetto ai sistemi concentrati originari e, in negativo, aree libere in via di erosione e interclusione. L’incrocio tra un sistema concentrato e uno o più sistemi lineari, infine, fa sì che il sistema lineare assuma un ruolo di porta urbana rispetto al sistema concentrato, che risulta così in “secondo piano” rispetto al territorio circostante.
La consapevolezza che l’intero territorio è esito di processi insediativi e trasformativi – consapevolezza antica, che già nel XVII secolo fa parlare del Piemonte come di “una città di trecento miglia in giro” (Dematteis, 1990) – fa sì che, oltre ai precedenti elementi in qualche modo “evidenti” sullo sfondo del territorio, le varie morfologie del territorio stesso siano state analizzate, negli studi preliminari al Piano paesaggistico regionale, in maniera coprente, identificando una quindicina di morfologie insediative omogenee che definiscono un “mosaico di aree caratterizzate da specifiche densità, strutturazione di impianto, prevalenza di tipi edilizi e relazione con il contesto”; in questo mosaico, le linee di confine tra morfologie rappresentano, con una analogia in qualche modo ecosistemica, elementi particolarmente complessi (e talora critici).
Le morfologie insediative sono dunque identificate come: urbane consolidate dei centri maggiori; urbane consolidate dei centri minori; tessuti urbani esterni ai centri; tessuti discontinui suburbani; insediamenti specialistici organizzati; aree a dispersione insediativa prevalentemente residenziale; aree a dispersione insediativa prevalentemente specialistica; “insule” specializzate; complessi infrastrutturali; aree rurali di pianura o collina con edificato diffuso; sistemi di nuclei rurali di pianura, collina e bassa montagna; villaggi di montagna; aree rurali di montagna o alta collina con edificazione rada e dispersa; aree rurali di pianura con edificato rado; alpeggi e insediamenti rurali d’alta quota, e sono brevemente descritte di seguito (per una articolazione più accurata, cfr. anche Regione Piemonte, 2010). Le morfologie urbane consolidate dei centri maggiori e minori sono insediamenti urbani dall’impianto storicamente consolidato, in cui è riconoscibile un ruolo di centralità; i tessuti urbani esterni ai centri sono tendenzialmente contestuali ai nuclei storici definiti sopra, strutturati ma ad essi esterni; i tessuti discontinui suburbani, benché prevalentemente urbani, si caratterizzano per un livello inferiore di strutturazione e si localizzano ai margini dei precedenti; gli insediamenti specialistici organizzati hanno destinazione specifica (per esempio produttiva o commerciale), tendenzialmente omogenea, e si situano nell’hinterland delle aree urbane; le aree a dispersione insediativa prevalentemente residenziale o specialistica sono caratterizzate da insediamenti a bassa densità, diffusi, privi di un disegno riconoscibile inseriti in aree rurali; le “insule” specializzate e i complessi infrastrutturali sono grandi “tasselli” recintati destinati a usi specifici, privi di relazione con il contesto esterno rurale; le aree rurali di pianura o collina con edificato diffuso sono l’esito della sovrapposizione, alla struttura rurale in via di abbandono, di nuove modalità residenziali disperse; i sistemi di nuclei rurali di pianura, collina e bassa montagna sono urbanizzazioni storicamente consolidate ma di dimensioni e ruolo troppo esigui per innescare effetti di centralità; i villaggi di montagna sono gli insediamenti rurali di media e alta quota privi di centralità e strutturazione urbana; le aree rurali di montagna o alta collina con edificazione rada e dispersa o di pianura con edificato rado presentano la crescente sostituzione delle attività agricole con quelle residenziali indipendenti dai fondi; negli alpeggi e insediamenti rurali d’alta quota, infine, sono prevalenti attività stagionali di allevamento o residenza.
Alcuni elementi singolari, infine, derivano dalla lettura e dal confronto dei “tasselli” del mosaico delle morfologie insediative: i margini urbani, siano significativi (cioè consolidati, come per esempio quello tra un insediamento urbanizzato storico e la campagna) o indefiniti (quando non chiaramente percepibili); gli intervalli nel costruito, interruzioni che consentono di mantenere comprensibili le differenze tra i tessuti limitrofi; le porte urbane, presenti quando sia possibile leggere chiaramente il passaggio tra tessuto urbano e non; gli elementi puntuali rilevanti, “oggetti” singoli con una rilevanza tale da influire in maniera significativa sulla conformazione dei bordi tra le morfologie.
L’insieme di tutte le categorie di analisi enunciate (Fig 3), ragionando innanzitutto sulla forma, consente di condurre una lettura ragionevolmente analitica del paesaggio insediato alla “grande scala” (De Rossi 2009), riconducendo a un numero tutto sommato maneggevole di “vocaboli” le varie occorrenze morfologiche, siano esse naturali o antropiche, svincolandosi di fatto, e per necessità, attraverso uno sguardo volutamente de-specializzato, dalle singole letture disciplinari, siano esse storiche, paesaggistiche, ecologiche e così via - che rimangono comunque imprescindibili nel caso di analisi più puntuali e approfondite, così come la coscienza della “calcolata e connaturata ambiguità” (Farinelli 1991) del paesaggio stesso -, in nome di un approccio progettuale al territorio.

Riferimenti bibliografici

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Data di pubblicazione: 31 luglio 2017