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Di fronte alle disuguaglianze è necessario prendere posizione

Non è necessario scomodare la scuola pitagorica per rammentare che fenomeni naturali e culturali possono essere descritti e compresi attraverso i numeri. Eppure, ve ne sono alcuni che vengono incredibilmente conservati in un oblio archivistico che pare incapace non solo di produrre interpretazioni del reale ma soprattutto di attivare azioni correttive. Pensiamo, ad esempio, ai numeri che quantificano fenomeni come povertà e disuguaglianza.
La povertà assoluta si esprime con un valore che indica la numerosità di casi in cui famiglie e individui si trovano nella condizione di non disporre di risorse sufficienti per acquistare beni e servizi essenziali. Secondo l’Istat, nel 2024 si contano circa 2,2 milioni di famiglie (8,4%) e 5,7 milioni di individui (9,8%) in povertà assoluta. Il fenomeno colpisce in modo particolare i minori (13,8%) e le famiglie straniere (35,2%). Questi dati evidenziano una criticità strutturale che persiste nonostante interventi di sostegno come l’Assegno di inclusione (Istat 2024).
Il fenomeno non è improvviso ma in costante crescita nel decennio 2014-24: dal 6,2% delle famiglie nel 2014 all’8,4% nel 2024, e dal 6,9% degli individui al 9,8%. L’incremento è legato a fattori come stagnazione salariale, inflazione (+8,1% nel 2022, +5,9% nel 2023) e precarietà lavorativa. Il numero di famiglie in povertà è aumentato di oltre 683 mila unità, mentre gli individui sono cresciuti di circa 1,6 milioni.
Gli indicatori di vulnerabilità socio-economica non lasciano dubbi: le disuguaglianze in Italia restano elevate. Il 10% più ricco detiene circa il 60% della ricchezza netta, mentre il 50% più povero possiede solo il 7,4%. I redditi reali sono diminuiti dell’8,7% dal 2007, e il divario tra il 20% più ricco e il 20% più povero è pari a 5,5 volte. Questi squilibri si riflettono anche nell’accesso ai servizi essenziali e nella capacità di affrontare shock economici (Istat 2025).
Credo sia giunto il momento in cui si debba riconoscere che non possiamo più tollerare ingiustizie strutturali per cui chi più ha, ha sempre di più, e viceversa chi meno possiede, sempre più diventa impoverito.

Che fine ha fatto lo Stato sociale?

Lo Stato sociale rappresenta quell’insieme di politiche pubbliche e di servizi che mirano a garantire diritti fondamentali ai cittadini: istruzione, sanità, previdenza, casa, mobilità e pari opportunità. Negli ultimi trent’anni, però, il modello dello Stato sociale è stato messo sotto pressione da diversi fattori: crisi economiche, invecchiamento della popolazione, riforme neoliberiste, riduzione della spesa pubblica, e un crescente ruolo del mercato nella gestione di beni e servizi collettivi. Questo processo ha avuto un impatto particolarmente visibile sul territorio, trasformando il modo in cui le città crescono, si organizzano e includono – o escludono – le persone.

Il territorio come specchio della crisi del welfare

Gran parte dell’urbanizzazione è trainata da logiche speculative piuttosto che da reali esigenze abitative o sociali. Questo dato è indicativo: l’attore pubblico arretra nella pianificazione e nelle risorse messe a disposizione e delega ai privati lo sviluppo urbano. Il diritto alla casa – uno dei capisaldi del welfare – è diventato un tema critico. Secondo Nomisma (2024), oltre 1 milione di famiglie italiane vive in condizioni di disagio abitativo. Gli alloggi pubblici sono carenti: meno del 5% del patrimonio abitativo è destinato all’edilizia residenziale pubblica, a fronte del 17-25% nei Paesi del Nord Europa.
La politica urbanistica si è allontanata dalla pianificazione orientata alla giustizia sociale per lasciare spazio a piani urbanistici generali adattivi, spesso costruiti su misura per intercettare rendite, interessi immobiliari e favorire l’investimento privato o progetti bandiera, con poco ritorno per le comunità locali.

Il ruolo offuscato della pianificazione pubblica

Negli ultimi decenni, si è assistito a un indebolimento delle istituzioni preposte al governo del territorio. Gli urbanisti e pianificatori spesso lavorano in un contesto di scarsa integrazione tra politiche sociali e territoriali troppo spesso come sbiadite. Nel contempo, la partecipazione dei cittadini ai processi democratici diminuisce in maniera preoccupante. Dove un tempo lo Stato si faceva promotore di equità territoriale, oggi le logiche di project financing e partenariato pubblico-privato sono diventate dominanti. I risultati? Quartieri diseguali, servizi concentrati solo dove ’convenienti’, gentrificazione e marginalizzazioni e una sempre più evidente esclusione urbana delle fasce fragili.
I numeri parlano chiaro: serve un cambio di paradigma, a partire dal ripensare la pianificazione anche e significativamente come strumento di giustizia sociale, investendo nella casa, nella mobilità sostenibile, negli spazi pubblici.

Riferimenti bibliografici

Istat (2024), Rapporto annuale 2024. La situazione del Paese.
Istat (2025), Condizioni di vita e reddito delle famiglie. Anni 2023-2024.
Nomisma (2024), 17° Rapporto sull’Abitare 2024, Bologna.

Pubblicato il 24 novembre 2025