Urbanistica INFORMAZIONI

Chi ha paura dell’agire urbanistico con il piano?

Una visione sistemica

Viviamo in un’epoca segnata da fenomeni interconnessi, instabili e multidimensionali: crisi ambientali, disuguaglianze territoriali e socio-economiche, mutamenti geopolitici e demografici, transizione energetica.
è evidente che la città, in questo scenario, non può più essere concepita come macchina lineare o insieme aggregato di funzioni e parti separate. Va assunta con responsabilità la rinnovata e rafforzata consapevolezza che si tratta di un sistema complesso (Talia 2025), un ecosistema socio-tecnico caratterizzato da proprietà emergenti (capacità di apprendere, resilienza, organizzazione, senso), interdipendenze e processi auto-organizzativi che derivano da schemi di relazione, retroazione, adattamento e co-evoluzione (Morin 1993).
In tal senso è assodato, sia sul piano empirico che teorico, che un sistema urbano non è solo una somma di edifici, strade, reti e abitanti ma un ecosistema socio-economico-spaziale con dinamiche emergenti di mobilità, attrattività, informalità, conflitto, innovazione (Bertuglia e Vaio 2019).
Nell’ambito dell’urbanistica, questa nozione è stata elaborata in chiave territoriale e progettuale: la città viene interpretata come sistema complesso adattivo in cui le relazioni spaziali, sociali ed economiche non possono essere pianificate efficacemente solo attraverso l’aggregazione di singole componenti funzionali. La città non può essere pensata come la somma dei suoi pezzi ma come un disegno condiviso fatto di visione, struttura, relazioni, densità, specificità e differenze. Il piano urbanistico, sotto questo profilo, non è solo una somma di norme, zonizzazioni o previsioni volumetriche ma un dispositivo di coerenza relazionale, che deve tener conto della complessità dei singoli contesti, dei comportamenti, delle interazioni tra reti materiali e immateriali.
Da questa consapevolezza scaturisce un’esigenza fondamentale: non si può pensare, in nome della ‘semplificazione’ e della flessibilità, di affrontare il tema del governo e progetto della città per somma di azioni e interventi ‘caso per caso’ ma occorre una visione sistemica, relazionale e processuale.
È proprio su ciò che il piano urbanistico mostra la sua attualità e utilità: come telaio di coerenza e riferimento, come strumento abilitante per orientare le trasformazioni e generare senso nello spazio, oltre che capace di abilitare la dotazione e il funzionamento dei servizi pubblici e di interesse collettivo di una città o di un territorio (Giaimo 2024).
Il piano, in questa prospettiva, non è un mosaico tecnico di previsioni, ma un’infrastruttura di relazioni e nessi, una forma narrativa condivisa che orienta, media e connette.

Derive

Le recenti vicende milanesi sono emblematiche di una dinamica urbanistica che, nonostante le enunciazioni formali, rinuncia, di fatto, al ‘disegno d’insieme’. Nella fase recente, gran parte degli interventi di ristrutturazione dell’urbanizzato (fino alla nuova edificazione) sono stati realizzati tramite i dispositivi del Dpr 380/2001 e smi “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” (con Permesso di costruire e soprattutto con Scia), strumenti semplificati che consentono interventi edilizi puntuali senza piani attuativi convenzionati che, almeno in parte, si rapportino al contesto urbanistico dell’intervento. Tali interventi generano però una città priva di coerenza, spesso inadeguata dal punto di vista infrastrutturale, ambientale e delle dotazioni di servizi e spazio pubblico.
Va, quindi, riconosciuto che la rinuncia ad agire tramite dispositivi che consentano una valutazione pubblica alla ricerca di un accordo con i privati ha effetti profondi: indebolisce la produzione di servizi pubblici (di qualunque tipologia e fattispecie) e riduce gli oneri urbanizzativi; non favorisce il ricorso alla tecnica della perequazione urbanistica; frantuma l’identità spaziale collettiva; opacizza il rapporto tra trasformazione urbana e interesse generale. Il rischio è che la città si modifichi come somma di rendite e volumi piuttosto che come complesso progetto condiviso.

Il piano urbanistico come infrastruttura relazionale

Assumendo con consapevolezza il quadro concettuale della complessità, il piano urbanistico cessa di essere uno strumento statico o regolativo-normativo per assumere il profilo di un dispositivo dinamico di connessione, capace di tenere insieme elementi eterogenei e trasformazioni plurime.
Infatti il piano urbanistico è oggi chiamato, contemporaneamente, a costruire una visione territoriale condivisa, fondata su giustizia spaziale e sostenibilità, distribuire equamente benefici e carichi attraverso meccanismi perequativi, garantire trasparenza e legittimità attraverso forme di concertazione e partecipazione, integrare reti ecologiche, infrastrutture, economie urbane e pratiche sociali, supportare processi adattivi e flessibili, evitando rigidità obsolete. Il piano del XXI secolo non può essere un ritorno ai modelli novecenteschi, spesso pesanti, eccessivamente prescrittivi e rigidi. Deve essere invece sostenibilmente flessibile, modulare e adattabile. Non un piano ‘rigodo’ ma una struttura resiliente, capace di evolversi nel tempo e di affrontare differenti gradi di complessità territoriale.
Per questo motivo, il piano può e deve prevedere diverse modalità e tempi di attuazione, calibrate sul contesto.
Un’attuazione diretta, rapida ed efficace, nei contesti già infrastrutturati o consolidati, dove un quadro normativo-regolativo ben si addice per supportare trasformazioni puntuali.
Un’attuazione indiretta, invece, per gli ambiti più strategici o complessi, dove è opportuna e necessaria una regia pubblica più forte, una concertazione con i privati e una progettualità articolata in grado di produrre beni pubblici, redistribuire valore e costruire coerenza spaziale.
Questa flessibilità non è da intendere come una debolezza ma una condizione necessaria per governare la complessità. Il piano assume in tal modo il profilo di quadro strutturale e processo capace di declinarsi in forme operative diverse, mantenendo come riferimento costante la qualità dello spazio urbano, l’equità tra gli attori e la sostenibilità nel lungo periodo.

Chi ha paura della coerenza?

Una domanda cruciale si impone: perché la politica sembra oggi rinunciare al piano? La risposta non è solo burocratica o economica ma profondamente culturale e anche tecnica. Il piano implica scelte, priorità, confronti. Impone coerenza: significa esporsi al conflitto, definire cosa vale di più, negoziare equilibri complessi.
Nel contesto politico attuale, dominato dalla comunicazione immediata, dal consenso a breve termine e dalla paura del dissenso, la coerenza diventa un rischio. Meglio moltiplicare interventi puntuali da verificare per conformità, che affrontare la complessità con una progettualità coerente con obbiettivi, finalità ed esiti richiesti che il piano deve saper esplicitare e richiedere (Barbieri 2024).
Eppure è proprio il ritorno alla coerenza pianificatoria che può restituire forza e credibilità alla politica urbanistica. Non si tratta di tornare all’urbanistica autoritaria ma di costruire una nuova cultura della pianificazione come strumento di democrazia e giustizia spaziale.
Nel delineare gli scenari futuri della pianificazione, appare centrale – sia sul piano amministrativo che su quello professionale e accademico – l’impegno a intraprendere un percorso volto ad aderire alla sfida culturale posta dal principio di ‘coerenza’, se assunta in modo sostanziale e non solo retorico-formale (Galuzzi 2023). Una sfida a non ricadere negli errori del passato, nelle consuetudini ‘conformative’ con le quali sono stati concepiti, attuati e gestiti i piani regolatori, di tutte le generazioni urbanistiche.
Una nuova cultura urbanistica deve affrontare la sfida del principio di coerenza a cui la pianificazione o meglio il governo del territorio dovrebbero ispirarsi (ivi).
Le nuove forme di gestione del piano (da riformare in tal senso) richiedono di gestire l’incertezza della fase contemporanea con la capacità di riferirsi ad un quadro-telaio generale di imprevedibilità e imprevisti senza però incorrere nella deriva di divenire pratiche ‘caso per caso’.
La fase recente del governo del territorio chiede di uscire da un’urbanistica costruita su prescrizioni, vincoli e divieti, su procedure cui attenersi per conformità-identicità (che tanto rassicurano la quotidianità dell’azione amministrativa di controllo) per adottare una prassi di amministrazione caratterizzata da capacità di gestione operativa e progettuale del piano.
Una nuova capacità di gestione, nel tempo, del piano come strumento di riferimento, che consenta di non ricorre a farraginose (o, peggio, derogatorie!) procedure di variante: elasticità di gestione e capacità di accompagnamento delle attuazioni per coerenza agli obbiettivi generali che il piano intende perseguire attivando la sua funzione (e componente) struttural-strategica, non conformativa ma configurativa, costruita attorno alla sequenza logica che definisce obbiettivi-prestazioni-esiti attesi che permettono di identificare gli elementi essenziali per la trasformazione futura della città.

Governare la città per coerenza a un nuovo piano

L’urbanistica del XXI secolo non può limitarsi a regolare ciò che accade: deve orientare, immaginare, costruire futuro. Il piano urbanistico riformato (Gruppo di lavoro Inu 2024) è lo strumento per mettere in coerenza le azioni: infrastrutture, spazi pubblici, residenze, mobilità, clima, inclusione sociale; nella consapevolezza che la giustizia urbana non si costruisce per sommatoria ma per interconnessione, riconoscendo al piano urbanistico non già il carattere di ‘vincolo’ ma la qualità di essere una risorsa democratica.
Il piano urbanistico è utile e necessario: come architettura del possibile, come progetto culturale e politico, come telaio di coerenza per agire nella complessità. Senza piano, resta solo la frammentazione.
L’agire urbanistico necessita oggi più che mai di una visione complessa, giusta e sostenibile del territorio: governare per coerenza con il piano abilita la costruzione di città sostenibili, eque e orientate al bene comune.

Riferimenti bibliografici

Barbieri C.A, (2024) “Pianificare per coerenza e con il metodo della copianificazione”, Urbanistica Informazioni, no. 315, p. 80-82.
Bertuglia C., Vaio F. (2019), Il fenomeno urbano e la complessità, Bollati Boringhieri, Torino.
Galuzzi P. (2023), “Piani alla prova di coerenza”, Urbanistica, no. 167, p. 4-7.
Giaimo C. (2024), “Urbanistica Open science. Il piano come infrastruttura democratica e sostenibile”, Urbanistica Informazioni, no. 317, p. 4-6.
Gruppo di lavoro Inu (2024), “Legge di principi fondamentali e norme generali per il governo del territorio e la pianificazione. Articolato”, Urbanistica Informazioni, no. 313, p. 157-173.
Morin E. (1993), Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida della complessità, Sperling & Kupfer, Milano.
Talia M. (2025), “In difesa della complessità”, Urbanistica Informazioni, no. 319, p. 9-12.

Data di pubblicazione: 23 maggio 2025