Urbanistica INFORMAZIONI

Usi e coperture del suolo

Nel dibattito contemporaneo, pochi concetti appaiono tanto semplici quanto ingannevolmente profondi come quello di ’uso’ e ’copertura’ del suolo. A prima vista sembrano categorie tecniche, strumenti neutri per classificare ciò che compone la superficie terrestre. Ma, come accade per ogni dicotomia solo apparentemente descrittiva, dietro queste parole si nasconde un rapporto complesso tra significante e significato. Nel loro intreccio si rivela la natura duplice del territorio: materia fisica e al tempo stesso costruzione simbolica, superficie misurabile e insieme palinsesto culturale. Il significante rimanda alla dimensione fenomenica, al che cosa il suolo ’mostra’ di sé: una copertura agricola, un tessuto urbanizzato, un lembo di foresta, un’area incolta o un reticolo di serre. È l’immagine prima, quella che i sensori satellitari registrano, i droni sorvolano, i modelli digitali codificano. È, in termini geomatici, la trama di dati che descrive il territorio nella sua dimensione oggettuale, così come richiamato negli esempi dedicati all’osservazione della Terra e alle tecnologie digitali. Ma il significato, che si annida sotto questa superficie, parla d’altro: di forme dell’abitare, di economie che modellano i paesaggi, di relazioni sociali che trasformano gli spazi in luoghi. Se la copertura è ciò che si vede, l’uso del suolo è ciò che si fa, che si progetta, ciò che il territorio diviene col tempo.
In questa tensione tra significante e significato, la geomatica svolge un ruolo che è allo stesso tempo tecnico e epistemologico. Le tecnologie di osservazione della Terra, dai satelliti multispettrali a risoluzione variabile ai sistemi LiDAR e radar, svolgono ormai una funzione indispensabile: consentono di registrare mutamenti altrimenti invisibili, di cogliere pattern che sfuggirebbero allo sguardo diretto, di restituire forma e consistenza a fenomeni territoriali troppo vasti o troppo rapidi per essere colti con gli strumenti tradizionali. Ma queste tecniche non sono semplici dispositivi di misura: sono linguaggi, strumenti che trasformano il territorio in una superficie interrogabile, inscrivendo nella rappresentazione il punto di vista di chi osserva. Ogni immagine satellitare è una frase; ogni classificazione, un atto interpretativo; ogni mappa, un compromesso tra il dato e la sua traduzione semantica. È in questo senso che la relazione tra significante e significato diventa cruciale: ciò che si decide di misurare non è mai privo di ricadute sul piano delle politiche urbane.
L’osservazione della Terra, soprattutto se inserita in logiche integrate come quelle proposte dai servizi Copernicus o dai sistemi di Digital Twin urbani, permette infatti di articolare una visione del territorio non come semplice contenitore di funzioni, ma come tessuto dinamico in cui interagiscono processi ambientali, trasformazioni socioeconomiche e vulnerabilità latenti. Le mappe d’uso del suolo non sono più rappresentazioni statiche: diventano matrici dinamiche, aggiornabili, capaci di cogliere variazioni stagionali, mutamenti repentini, pressioni antropiche, indicatori di rischio. È in questa dimensione temporale – diacronica, evolutiva, anticipativa – che il significato urbano si distacca definitivamente dal suo significante: il pixel, l’ortofoto, il modello digitale non sono che soglie di senso, punti d’ingresso verso un’interpretazione più profonda.
Tuttavia, come evidenziato anche nel discorso critico sulla tecnologia del drone, nessun sensore, per quanto sofisticato, può pretendere di restituire da solo la complessità dei processi territoriali. Il rischio, sempre presente, è quello di confondere la precisione della misura con l’esaustività della conoscenza, scambiando la nitidezza dell’immagine per verità. La copertura del suolo può essere classificata con accuratezza millimetrica, e tuttavia non dire nulla sulle condizioni di marginalità, sugli squilibri ecologici, sui conflitti d’uso che attraversano gli spazi urbani. È qui che il significato reclama il proprio primato e interpella la pianificazione, chiamata a interpretare ciò che la tecnologia non può – né deve – decidere.
Nelle scienze territoriali, infatti, interpretare gli usi e le coperture del suolo significa comprendere lo spazio come un sistema di relazioni e di intenzionalità, non come un inventario di superfici. Le tecniche geomatiche consentono oggi di costruire osservatori urbani permanenti, capaci di cogliere il ritmo con cui le città si espandono, si contraggono, mutano forma. Il compito della pianificazione è quello di decidere che cosa fare di queste informazioni: come orientare le trasformazioni, come preservare i valori ambientali, come redistribuire risorse e opportunità. La tecnologia rende visibile, la pianificazione rende possibile.
Così, nel dialogo tra significante e significato, le mappe d’uso del suolo diventano più di rappresentazioni: diventano atti politici, strumenti di immaginazione e responsabilità collettiva. Il loro valore non risiede soltanto nella capacità di classificare ciò che esiste, ma nell’opportunità di immaginare ciò che il territorio può diventare. E se la geomatica fornisce la grammatica della descrizione, è l’urbanistica a dare forma al racconto. Un racconto che, tradizionalmente, deve essere capace di tenere insieme la misurazione e l’interpretazione, la precisione tecnica e la profondità filosofica, affinché il territorio non sia soltanto osservato, ma compreso nella sua interezza.

Pubblicato il 24 novembre 2025