Urbanistica INFORMAZIONI

Spazio e tempo

Tra le certezze che ci ha lasciato la gestione della fase acuta della pandemia in Italia almeno tre interessano direttamente le nostre responsabilità di urbanisti.

La prima riconosce che le città e i territori sono un dato fisico che si è costruito nel tempo e che non cambierà così velocemente come cambiano i comportamenti sociali, anche se certamente questa nuova crisi sanitaria come quelle che si sono manifestate nei secoli passati, dalle epidemie di peste alla cosiddetta influenza spagnola, avrà impatti anche sulla forma della città, sulle relazioni e sulla pianificazione dello spazio.

La seconda attiene alla consapevolezza che non possiamo separare le “emergenze” dal corso “routinario” degli eventi. Nei comportamenti e soprattutto nelle politiche urbanistiche si è sempre evitato di considerare la difesa del territorio come una priorità e la precondizione ad ogni azione di programmazione e trasformazione, ponendo poi in atto ad ogni nuova emergenza ambientale politiche di aggiustamento e ricostruzione lunghe e costose che quasi sempre, sia nei casi dei terremoti, sia di inondazioni e alluvioni, hanno lasciato i cittadini e i comuni a doversi reinventare come luoghi e come comunità.

La terza riporta in primo piano la necessità di utilizzare la relazione tra spazio e tempo come una delle determinanti della pianificazione urbanistica.

La sospensione del tempo e la privazione degli spazi pubblici e degli spazi di relazione e tra questi in primo luogo quelli della scuola e del lavoro, ha evidenziato la rigidità delle modalità con cui intendiamo sia gli spazi: scuola, uffici, manifatture, tutti assolutamente monofunzionali e collocati in zone spesso monofunzionali, sia il tempo rigidamente incasellato negli “orari di punta”, tutti facciamo le stesse cose nello stesso momento: lavoro, studio, tempo libero e utilizziamo gli stessi luoghi nello stesso momento: case private, spazio del lavoro, del commercio, del loisir.

Nella relazione spazio tempo si inserisce inoltre una variabile particolarmente incidente e che costituisce una delle criticità più gravi del nostro tempo: l’uso dell’auto privata che riguarda i tre quarti degli spostamenti quotidiani per motivi di lavoro. Modello di mobilità che determina congestione sulle strade, consumo di suolo ed emissioni.

Nel corso del lockdown abbiamo registrato una riduzione drastica degli inquinamenti per rumore ed emissioni gassose, un modello di distribuzione diversa per le merci ed un uso più intenso del lavoro a distanza e delle piattaforme digitali per la didattica e per le relazioni sociali.

Certamente non si ambisce ad una civiltà segregata, ma dalla crisi possiamo trarre occasioni di nuovi apprendimenti in merito alla intensità e frequenza degli spostamenti così come sull’uso dei supporti digitali e delle piattaforme dati.

Questo numero di Urbanistica Informazioni dedica un largo spazio, a partire da Covid-19, alla riflessione sui temi che riguardano da vicino le responsabilità degli urbanisti: le diseguaglianze sociali e territoriali, densità e rarefazione, spazio pubblico e spazio privato. L’obiettivo è capire come si possono migliorare le condizioni ambientali e di vita dei nostri territori fornendo risposte non convenzionali, riconoscendo, come dice Gabriele Pasqui, che il nostro compito è “quello di proporre un’agenda di lavoro, sensibile a quanto ora possiamo vedere e a quanto è ragionevole immaginare per un periodo medio e breve; un’agenda capace di influenzare la discussione pubblica e, se possibile, le scelte politiche e di policy” [1]. Pensando, come ci indica Michele Talia che la prospettiva “di un nuovo modello di sviluppo equo ed ecologicamente orientato non debba essere rinviata a quando la fase più acuta della crisi potrà dirsi superata, perché a quella data è assai probabile che le risorse straordinarie che verranno messe in campo durante l’emergenza non saranno più disponibili” [2].

L’INU con il documento “Superare l’emergenza e rilanciare il Paese” propone una sistematica territorializzazione degli investimenti e di puntare sulla Strategia Nazionale per le Aree Interne; ma ribadisce altresì “la centralità delle aree metropolitane e delle città medie nel programma di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, e di rilanciare l’adesione dell’Italia al grande progetto europeo del Green New Deal, che attraverso la decarbonizzazione del sistema produttivo, il sostegno all’economia circolare e il ricorso alla rigenerazione urbana e al turismo sostenibile intende perseguire l’adattamento e la mitigazione dei rischi derivanti dal cambiamento climatico all’interno di comunità urbane più sane, sostenibili e giuste” [3].

Politiche che come ci invita ad affrontare con “coraggio” Marco Bussone presidente UNCEM devono concretizzarsi in un “piano” che lavori sui servizi: scuola, trasporti, sanità e che riconosca la montagna (il 54% del territorio nazionale) come un territorio destinato ad intensificare le sue relazioni con le aree urbane e metropolitane “luoghi dei grandi bacini idrici e delle foreste che immagazzinano carbonio. Del Territori dove la difesa dei versanti, con il presidio delle comunità, diventa emblematica per proteggere la città stessa.

Ecco perché cresce la consapevolezza della necessità di valorizzare i servizi ecosistemici-ambientali che si esprimono sui territori. Riconoscere alla montagna le funzioni produttive - in termini di PIL e benessere - nonché di protezione, è un impegno che deve vedere insieme sistema economico e istituzionale. Pubblico e privato” [4].

Il senso di ripensare al rapporto spazio tempo che regola il nostro vivere e la forma stessa delle città ci induce alla necessità di liberarci dalla rigidità con cui organizziamo il rapporto spazio tempo. Certamente abbiamo chiaro che non è possibile fare in poco tempo quello che non siamo riusciti a fare nei passati decenni. Pensare ad una agenda ad un piano territorializzato delle azioni e degli investimenti che metta al centro lo spazio pubblico e i luoghi del lavoro consente di porre attenzione alle diseguaglianze sociali e territoriali. Un piano di “manutenzione straordinaria del territorio” [5] con al centro la prevenzione dei rischi ambientali e sanitari ripensando anche all’uso dell’auto privata, certamente inadeguata e dannosa, ma con la quale forse dobbiamo convivere ancora per un po’ di tempo e che quindi dobbiamo integrare con i sistemi di mobilità più sostenibili come il Trasporto Pubblico Locale e la ciclabilità.

[1Gabriele Pasqui, Il territorio al centro

[2Michele Talia, La ricerca della “giusta distanza”

[3Michele Talia, La ricerca della “giusta distanza”

[4Marco Bussone, Riabitare l’Italia

[5Gabriele Pasqui, Il territorio al centro

Data di pubblicazione: 6 luglio 2020