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La mobilità urbana in Italia

La città e le politiche per la mobilità urbana hanno recuperato negli ultimi anni una posizione centrale sia nel dibattito scientifico, sia nell’agenda politica italiana ed europea.
Il Libro verde sul trasporto urbano della Commissione Europea (settembre 2007) si apre con alcuni dati eloquenti sull’impatto dei contesti urbani nell’organizzazione di vita della popolazione europea: oltre il 60% dei cittadini dell’UE vive in ambiente urbano (città con oltre 10.000 abitanti) e poco meno dell’85% del prodotto interno lordo comunitario proviene dalle città. Le città sono quindi il motore dell’economia europea: attraggono investimenti, producono ricchezza, sviluppano tecnologie e innovazione, assicurano la creazione di posti di lavoro, compresi quelli più qualificati. Allo stesso tempo, tuttavia, l’addensamento delle attività economiche nelle aree urbane, insieme al consolidarsi di stili di mobilità dei cittadini sempre più frammentati, ha prodotto negli ultimi anni una crescita generalizzata della domanda di trasporto delle persone e delle merci, soddisfatta in larga parte da mezzi privati di locomozione.
L’aumento esponenziale del traffico nei centri cittadini è l’inevitabile deriva di questa dinamica, con effetti dirompenti sulla vivibilità degli ambienti urbani in termini di congestione (perdita di tempo, stress) e di inquinamento ambientale. Sempre secondo i dati riportati dal Libro verde ogni anno l’economia europea perde circa 100 miliardi di euro, ovvero l’1% del Pil, a causa della congestione nelle città. Inoltre, il traffico urbano genera il 40% delle emissioni di CO2 e il 70% delle altre emissioni inquinanti prodotte dagli autoveicoli; e determina circa un terzo di tutti gli incidenti mortali, a danno soprattutto di pedoni e ciclisti.
In Italia i termini della questione non sono molto diversi, anzi alcune criticità caratteristiche della relazione tra domanda di mobilità e contesto urbano tendono ad accentuarsi. Da un lato, infatti, i centri storici delle nostre città, piccole e grandi, ospitano un patrimonio storico e monumentale che non ha eguali nel mondo, e proprio per questo sono più fragili e vulnerabili; dall’altro lato il trasporto urbano è monopolizzato dall’automobile in misura ben superiore alla media europea.
La pressione sulle città determinata dalla crescente congestione da traffico e dal difficile controllo dei livelli di inquinamento – a cui si accompagna la “morsa” sempre più stretta delle regole e degli standard nazionali ed europei da rispettare soprattutto in campo ambientale - ha spinto gran parte degli Enti locali a riflettere sull’organizzazione del proprio sistema di mobilità e a tentare soluzioni alternative, ancorché parziali. I casi da citare potrebbero essere innumerevoli per ciascuna delle diverse tipologie di policy, dal rafforzamento quantitativo e qualitativo dei servizi di trasporto pubblico alla promozione della mobilità lenta (pedonale e ciclabile), dalle misure dissuasive del trasporto individuale (limitazione della circolazione nei centri storici, soste a pagamento) ai sistemi di ottimizzazione dell’uso dell’auto (car sharing, car pooling), e via elencando. Pur con tutti i limiti di approcci strategici poco coerenti tra obiettivi da perseguire e misure da mettere in campo, di cattiva applicazione delle misure stesse o, ancora, di debole incisività strutturale delle politiche (non ultimo per carenza di risorse disponibili), tuttavia tentativi e sforzi di un qualche significato sono stati prodotti negli ultimi anni dalle Amministrazioni comunali, a volte con il sostegno regionale e nazionale.
Con quali risultati? Gli indicatori più significativi in chiave di sostenibilità ambientale, sociale ed economica evidenziano che negli ultimi anni le dinamiche della mobilità urbana non si sono indirizzati verso modelli di trasporto a minor impatto, perché le politiche messe in campo non sono state incardinate su un adeguato architrave istituzionale, finanziario e di consenso collettivo.
Secondo i dati dell’Osservatorio “Audimob” [1] di Isfort la domanda complessiva di mobilità tende a crescere, con una forte accelerazione dal 2004 in particolare nel volume di passeggeri*km prodotti. È in atto una profonda modifica del modello di consumo, con un’espansione delle direttrici extra-urbane degli spostamenti. La riorganizzazione del territorio abitato, con una quota significativa di popolazione che dalle grandi aree urbane emigra verso i comuni di corona, dilata spazi e tempi del trasporto, allunga i viaggi, riduce il peso della mobilità urbana e di corto raggio (che comunque resta dominante: quasi il 75% dei viaggi non supera i 10km di lunghezza).
Come si è mosso il trasporto collettivo in questo scenario di crescita della domanda complessiva e di contrazione della mobilità di corto raggio? Nonostante gli sforzi di sostenere un modello alternativo all’automobile, il servizio pubblico soffre nelle aree urbane di una persistenze debolezza di offerta (qualitativa e quantitativa) con uno split modale modesto e in tendenziale riduzione. La quota di spostamenti con mezzi pubblici, sull’insieme di quelli motorizzati, passa infatti nelle aree urbane dal 13,6% del 2002 al 11,6% del 2009, a fronte di un peso dell’automobile che arriva all’80% di tutti i viaggi motorizzati.
Va poi osservato che esistono profonde differenze tra contesti territoriali, in particolare tra grandi aree urbane e resto del Paese. Negli città maggiori dove l’uso dei mezzi individuali è oggettivamente più faticoso, e in parte disincentivato da misure dissuasive della circolazione privata, lo share del trasporto pubblico si attesta tra il 25% e il 30%; nei centri urbani minori – ma in generale nel complesso delle città con meno di 100mila abitanti – quella stessa quota non supera il 5%. Guardando all’ampiezza di questa forbice e alle provviste pubbliche impegnate per assicurare un’adeguata copertura territoriale del servizio, forse è arrivato il momento di interrogarsi più seriamente su una riorganizzazione profonda della rete di offerta nei mercati così marginali, sostituendo i servizi tradizionali a frequenza regolare con servizi alternativi più flessibili.
Le soluzioni di mobilità a minor impatto sembrano perdere colpi anche sull’altro, più corposo segmento rappresentato dall’insieme degli spostamenti non motorizzati (a piedi o in bicicletta). La mobilità dolce soddisfa ancora oltre il 30% della domanda, ma dopo avere registrato una crescita piuttosto robusta tra il 2002 e il 2006 – quando è stato toccato il livello più alto, pari al 33,9% - nell’ultimo triennio mostra un pericoloso ripiegamento (31,7% nel 2009).
Più incerto l’andamento della qualità percepita del servizio di trasporto pubblico. Se il gradimento per la metropolitana è costantemente in crescita e si attesta ormai su standard alti, vicini a quelli dei mezzi privati (punteggio medio ben superiore al 7,00 con quasi 9 utenti su 10 che assegnano un voto tra 6 e 10), autobus, tram e treno locale difendono ogni anno una stiracchiata sufficienza media.
Più di una causa incide sulla bassa qualità percepita del trasporto pubblico urbano (almeno quello di superficie, peraltro l’unico esistente nella gran parte delle città). La velocità media dei mezzi innanzitutto; nella valutazione degli utenti quella dei vettori collettivi è circa la metà di quella dei vettori individuali (14,1 km/h contro 26,1 km/h) e tra il 2002 e il 2009 la forbice si è ampliata in misura molto significativa. E poi c’è il dato relativo all’età media degli autobus, che si è abbassata progressivamente dal 2002 (9,7 anni) al 2006 (7,9 anni, un valore non distante allora dalla media europea) per poi risalire sia nel 2007 che nel 2008 (8,4 anni). Insomma, rispetto a due fattori strutturali di qualità del servizio - la velocità degli spostamenti e quindi il consumo di tempo per la mobilità da un lato, il rinnovo del parco autobus e quindi il comfort del viaggio dall’altro – si è registrato negli ultimi anni un deterioramento della posizione competitiva dei mezzi pubblici urbani.
Come è noto, inoltre, velocità media più bassa ed età media più alta del materiale rotabile si traducono in un aggravio di costi per la gestione delle aziende: minore produttività del personale di bordo, maggior consumo di carburante, costi di manutenzione più elevati. Negli ultimi anni questo aggravio ha contribuito ad erodere i miglioramenti del risultato operativo delle aziende determinati dai processi di efficientamento e dagli sforzi di diversificazione dei ricavi.
Se si aggiungono la crescita esponenziale di costi esogeni quali il carburante, le assicurazioni o le manutenzioni e, dal lato dei ricavi, il ritmo lento di adeguamento delle tariffe - soprattutto nel caso degli abbonamenti – non si fatica a capire come mai nel 2008 quasi la metà delle aziende del trasporto pubblico urbano abbia fatto registrare un risultato operativo [2] di segno negativo e come mai la percentuale di copertura dei costi operativi attraverso ricavi da traffico sia scesa, sempre nel 2008, al 30,5% (era al 31,5% nel 2003) allontanandosi ulteriormente dalla soglia del 35% fissata dal legislatore ormai 13 anni fa.
È difficile che in queste condizioni il trasporto pubblico urbano possa progredire e guadagnare fette di mercato.
Da ultimo, anche gli indicatori sulla mobilità privata mostrano dinamiche tutt’altro che rassicuranti.
Infatti: - le automobili in circolazione continuano a crescere e nel 2008 hanno superato la soglia assoluta dei 36 milioni di vetture e quella relativa dei 60 veicoli ogni 100 abitanti; per di più, dopo cinque anni di riduzione è leggermente aumentato nel 2008 il tasso di motorizzazione nell’insieme delle città con oltre 250mila abitanti; - a ritmi anche più sostenuti continua l’incremento del parco motocicli e ciclomotori; nel 2008 i veicoli “due ruote” sono quasi 6 milioni, di cui oltre il 20% nelle sole grandi città, contro i 4 milioni del 2002; - le politiche dissuasive della circolazione privata nelle città capoluogo di provincia sembrano segnare il passo, almeno su alcuni indicatori-chiave; gli stalli di sosta a pagamento diminuiscono nel 2008, seppure di poco, in rapporto al parco auto; l’estensione delle Zone a Traffico Limitato nello stesso anno si è di fatto bloccata dopo gli incrementi, anche abbastanza sostenuti, registrati tra il 2002 e il 2007; l’estensione delle aree pedonali egualmente non ha registrato sviluppi significativi nel 2008 dopo la crescita degli anni precedenti.
Gli assi portanti del monitoraggio della mobilità urbana confermano dunque un quadro di insieme denso di criticità.
Sono gli equilibri strutturali a preoccupare, perché il sistema si attesta su standard molto bassi di sostenibilità.
Il quadro tracciato contrasta in modo stridente proprio con il “movimentismo” degli attori in gioco (Enti locali in primo luogo) nel promuovere politiche e misure per avere trasporti più puliti e città meno trafficate e più vivibili. Si può affermare, non a torto, che in assenza di questi sforzi la mobilità urbana vedrebbe moltiplicati le proprie criticità.
Difficile negarlo, ma non è molto consolatorio. Piuttosto bisogna capire cosa non funziona nelle strategie di intervento nel settore.
C’è un problema evidente, in primo luogo, di impatto “strutturale” delle misure messe in campo. Senza incidere sui fattori hard dell’offerta e della regolazione – la capillarità dei servizi, il miglioramento degli standard delle prestazioni, le reti dedicate soprattutto per il “ferro”, una coraggiosa disincentivazione all’uso dei veicoli privati (ZTL, sosta tariffata) – le terapie via via sperimentate, spesso di accompagnamento alla gestione della domanda, risultano essere molto fragili. È una considerazione che peraltro trova ampi consensi presso operatori e istituzioni, pur scontrandosi con il nodo delle risorse necessarie per un attuare un programma significativo di sviluppo e di miglioramento del trasporto pubblico urbano, su “gomma” e su “ferro”, sui servizi e sulle reti.
Ma si può contestualmente lavorare anche su altri aspetti dell’organizzazione della mobilità urbana. Ad esempio, un capitolo cruciale è senz’altro rappresentato dalla sicurezza e dal rispetto delle regole di comportamento quando ci si sposta da un punto all’altro della città. Sono temi su cui si accendono i riflettori solo in presenza di eventi apicali (gravi incidenti stradali, blocco duraturo del traffico), ma di cui si discute di meno in chiave di miglioramento strutturale dell’ambiente urbano. Eppure è nell’esperienza quotidiana osservare i problemi al traffico prodotti dai parcheggi irregolari in seconda fila oppure sperimentare la difficoltà di utilizzare marciapiedi costantemente invasi da macchine e motorini. Ampie opportunità di miglioramento nell’organizzazione della mobilità possono quindi derivare da azioni di law enforcement, finalizzate sia ad inasprire quantità e livelli delle sanzioni, sia soprattutto a sviluppare sistemi di vigilanza e controllo che assicurino un effettivo rispetto del codice della strada.
Armonizzare la convivenza tra i diversi sistemi di spostamento diventa allora un terreno di nuove sfide per le politiche dei trasporti urbani. Gli spazi della città sono di tutti e ciascuno ha il diritto di potersi muovere in sicurezza e, possibilmente, in contesti piacevoli quale che sia il mezzo di locomozione scelto. Allo stesso tempo ha il dovere di rispettare i codici e le regole di comportamento per non limitare a sua volta la libertà e la scelta di trasporto dei propri concittadini. Una città più orientata a far convivere le diverse soluzioni di mobilità - e in grado di far rispettare la disciplina del traffico, nonché di garantire più sicurezza da incidenti e da atti criminosi sui diversi vettori (furti, violenze…) - è una città dove il trasporto “naturalmente” diventa più fluido, i livelli di inquinamento diminuiscono, la qualità del territorio urbano si innalza.
Insomma, una risposta incisiva ai problemi della mobilità urbana, da costruire lavorando sull’altro lato delle politiche di offerta, ovvero il lato dei doveri e delle responsabilità di tutti coloro che condividono gli spazi caotici e troppo spesso senza regole della città.

[1L’Osservatorio “Audimob” di Isfort sui comportamenti di mobilità degli italiani è attivo dal 2000. Si basa su un’estesa indagine telefonica (sistema CATI) alimentata annualmente da un campione stratificato della popolazione italiana compresa fra 14 e 80 anni, composto da circa 15000 individui. Le interviste sono ripartite su 4 survey, una per stagione. I dati sulla mobilità urbana sono elaborati a partire dagli spostamenti effettuati dai residenti intervistati, per i quali si dichiara che la destinazione finale del viaggio è all’interno dei confini comunali e la cui lunghezza non è comunque superiore ai 20 km.

[2Inteso come margine operativo netto o anche EBIT (Earning befor interest and taxes).

Data di pubblicazione: 23 marzo 2011