Urbanistica INFORMAZIONI

La crisi del riformismo e il destino delle città

La fase attuale che Italia ed Europa stanno attraversando sembra destinata a caratterizzarsi, in modo sempre più evidente, per il progressivo appannamento di alcune delle grandi idee che avevano contrassegnato la storia del ‘900. Anche se negli ultimi decenni la cultura ambientalista e la ricerca sulle nuove tecnologie delle comunicazioni hanno prefigurato importanti scenari evolutivi nel campo della “transizione eco-digitale” – che potranno aiutarci ad affrontare problemi come il riscaldamento del pianeta o l’esaurimento delle risorse energetiche – l’impatto effettivo di questa trasformazione sui processi produttivi e sulla organizzazione del lavoro rimane in gran parte inesplorato.
Questa visione assai lacunosa delle prospettive future, e il graduale venir meno di alcune delle narrazioni che avevano ispirato l’evoluzione della società, sembrano destinati molto probabilmente ad intralciare la riflessione politica dei prossimi anni, con la possibilità che il tentativo di rispondere ai grandi rischi globali (il cambiamento climatico e la transizione energetica, le crisi migratorie, la frammentazione degli interessi e il ripiegamento dei processi di globalizzazione) venga prossimamente ostacolato dalla difficoltà di elaborare nuovi modelli esplicativi, e di offrire soluzioni praticabili e potenzialmente universali. Sullo sfondo di questa eclissi del pensiero occidentale possiamo scorgere una insorgente difficoltà del riformismo e delle politiche pubbliche, che dalle grandi visioni promosse nel XX secolo avevano tratto alimento, con effetti indiretti, ma decisivi, per la cultura urbana e il governo del territorio.
Le conseguenze di questa improvvisa torsione del dibattito pubblico non devono essere sottovalutate. Almeno a partire dalla seconda metà del secolo scorso il riformismo è stata infatti la chiave principale attraverso cui molte democrazie europee hanno governato la complessità sociale, permettendo di coniugare sviluppo economico e coesione, pianificazione e partecipazione, diritto e solidarietà. Con la fine della Guerra Fredda e l’affermazione del paradigma neoliberale, però, il terreno su cui il riformismo era germogliato è cambiato radicalmente, e con quest’ultimo anche le visioni di lungo periodo che ispiravano la ricerca di strategie di cambiamento sociale ed economico.
Nella misura in cui la nostra epoca appare dunque segnata da un progressivo indebolimento delle interpretazioni totalizzanti che avevano orientato il cambiamento sociale e politico nel corso del ’900, è inevitabile che la fiducia nel progresso, la centralità dello Stato come regolatore ed erogatore delle risorse pubbliche, o l’idea stessa di una società da rifondare gradualmente e collettivamente possano apparire logore o inadeguate di fronte ai rischi globali della contemporaneità.
Risulta pertanto evidente che le difficoltà incontrate in questa fase, e in molti contesti nazionali, dalle politiche pubbliche chiamino in causa la validità di quella proposta riformista che per decenni ha rappresentato un’alternativa concreta sia all’immobilismo conservatore, sia all’estremismo radicale. La crisi attuale tende infatti a sfidare le fondamenta stesse del riformismo, sia per quanto riguarda le sue risposte a nuove minacce sociali ed economiche, sia per la sua capacità di proporre soluzioni efficaci e credibili (Bauman 2002).
Ne consegue che oggi questa capacità di visione e di trasformazione graduale della società e dei luoghi in cui quest’ultima tende a radicarsi sembra ormai smarrita, con l’effetto di determinare una difficoltà crescente nella elaborazione di risposte credibili alle crisi ambientali, sociali e democratiche in corso. Naturalmente uno dei luoghi in cui questa crisi si manifesta con maggiore evidenza è proprio la città, che a causa della lentezza, dell’onerosità e della irreversibilità delle trasformazioni che ne cambiano il volto (e la stessa identità) non può fare a meno di affidarsi ad un approccio al governo del territorio che si affidi alla ricerca di una graduale modificazione, da operare attraverso le riforme della società e il cambiamento della struttura insediativa e delle istituzioni.

Una preoccupante linea di faglia attraversa l’Occidente

Per effetto di questi profondi cambiamenti l’Europa sta dunque attraversando un prolungato periodo di instabilità e divisione politica nel quale i tentativi di riformare il sistema vigente incontrano profonde resistenze, generando fratture politiche e sociali che minacciano la coesione del blocco occidentale. Questa condizione di instabilità riflette una crisi dei processi legislativi e di trasformazione sociale, con un aumento della polarizzazione e, al tempo stesso, con la manifesta incapacità di trovare soluzioni condivise che consentano di realizzare trasformazioni sociali e politiche, e la messa a punto di un nuovo sistema normativo.
In un quadro nel quale lo spazio della politica sembra condizionato dalla logica dell’emergenza e dalla retorica dell’inevitabilità, il campo delle possibilità da perseguire appare circoscritto da un realismo senza progetto che si disinteressa degli effetti di lungo periodo delle proprie scelte, e in cui la tradizione riformista deve rinunciare al proprio pur glorioso bagaglio culturale e strumentale. Per chi si occupa poi della implementazione delle politiche e della progettazione degli interventi, ne consegue poi che la gestione prenda sempre più frequentemente il posto della visione, e l’adattamento tenda a sostituire la trasformazione.
Non ci si deve stupire a questo punto se il fallimento delle ideologie che prevedevano un’evoluzione graduale del sistema attraverso il ricorso ad un processo riformatore produca un aumento delle tensioni e delle divisioni ideologiche, e renda sempre più difficile il raggiungimento di un consenso e la realizzazione di riforme condivise. [1]
La metafora della “linea di faglia” a cui abbiamo appena fatto ricorso mette in luce il rischio del determinarsi di profonde fratture sociali, destinate ad accentuare la presenza di marcate divisioni e conflitti all’interno delle formazioni sociali. Come una faglia geologica può causare terremoti e instabilità, queste fratture sociali minacciano la stabilità delle democrazie occidentali, e possono portare ad una marcata instabilità politica e sociale. Non solo; in un senso figurato tali incrinature sembrano rinviare alle tensioni o alle fratture latenti che penetrano nel tessuto di una città, come quelle tra aree socio-economiche distinte, o tra zone con differenti approcci alla pianificazione urbana, o infine tra settori urbani che ospitano conflittualità accentuate e difficilmente ricomponibili.
Nel parallelo che intendiamo proporre tra la crisi del riformismo e l’impulso alla polarizzazione politica che si è manifestato in questi anni è possibile anticipare l’avvento di un periodo di instabilità e di divisione politica e sociale, nel quale i tentativi di riformare il sistema vigente incontrano profonde resistenze, con la conseguenza di generare fratture politiche e sociali che minacciano la coesione del blocco occidentale. Tale fenomeno riflette una preoccupante instabilità del sistema politico e una palese difficoltà nel rispondere alla domanda sociale, con le istituzioni che faticano a produrre leggi efficaci e a guidare i cambiamenti sociali richiesti dalla popolazione. Nel complesso, la crisi del riformismo che investe i Paesi più sviluppati prefigura pertanto una situazione complessa e pericolosa, nella quale la capacità di riformare e migliorare il sistema democratico è ostacolata da profonde fratture ideologiche e sociali, che mettono a rischio la coesione sociale e la stabilità del mondo occidentale.

Il disarmo della politica

La crisi del riformismo cui si è fatto riferimento, e che può essere intesa come la crescente incapacità della politica di farsi strumento di cambiamento progressivo e coerente, non è un fenomeno isolato. Esso tende ad accompagnarsi ad un più ampio disarmo culturale della politica, per effetto del quale il pensiero pubblico sembra incapace di generare immaginari alternativi, e il linguaggio tecnico, manageriale e burocratico che ha sostituito quello etico e progettuale tende a produrre pericolosi cortocircuiti comunicativi. La conseguenza inevitabile di questa deriva è che le stesse istituzioni, svuotate di legittimità e di efficacia, appaiono come contenitori vuoti, ostaggio di interessi contingenti o di logiche miopi e di breve periodo.
A fronte di questa rarefazione del pensiero politico la funzione di governo si rivela sempre più incapace di sviluppare strategie organiche ed integrate, che siano in grado cioè di comprendere e gestire le interconnessioni dei diversi problemi (economici, sociali, ambientali). Ne consegue pertanto che la pubblica amministrazione tende a scontrarsi sempre più spesso con la crescente incapacità dei suoi apparati di articolare risposte sistemiche, le uniche che sarebbero capaci di far fronte all’incremento di complessità manifestato dal mondo attuale. Ma c’è di più; l’indebolimento del dibattito democratico, la delega ad ‘esperti’, algoritmi o piattaforme e l’affermazione di un discorso pubblico privo di prospettiva contribuiscono a rendere la crisi del riformismo non solo contingente, ma apparentemente irreversibile.
In questo contesto, ciò che manca soprattutto è una visione dei processi evolutivi capace di riconoscere le interconnessioni tra i problemi: la transizione ecologica, le disuguaglianze sociali, la precarizzazione del lavoro, la trasformazione digitale. A fronte di una crescente complessità del reale, la pubblica amministrazione e gli apparati statali mostrano in molti casi un crescente deficit di adattamento e di innovazione, e si dimostrano incapaci di dare risposte che vadano oltre la gestione frammentata e settoriale dell’esistente.
In ultima analisi la politica sembra aver smarrito il suo compito originario, che prevede non solamente l’esercizio di una primaria funzione di governo, ma richiede altresì di dare ordine e forma alle esigenze quotidiane. Recuperare questa dimensione progettuale, immaginativa e collettiva è oggi una delle prove più impegnative, almeno se si vuole evitare che la democrazia si riduca ad un semplice meccanismo di controllo di regole e procedure, svuotato di senso e di speranza nel futuro.

La crisi dell’urbanistica riformista

Come è ragionevole supporre questa crisi della politica tende a riflettersi con crescente intensità sugli obiettivi e gli strumenti del sistema di pianificazione. Per buona parte del ‘900 la città si era proposta come una sorta di laboratorio privilegiato del riformismo: le politiche di edilizia pubblica, i trasporti collettivi, le periferie come spazi di cittadinanza e gli stessi piani regolatori erano ritenuti l’espressione più immediata di un’idea forte di futuro condiviso. La città era vista di conseguenza come luogo di emancipazione e di costruzione dell’uguaglianza, e l’urbanistica rappresentava la disciplina che poteva mettere in pratica la visione di una città più giusta ed equa attraverso il ricorso a interventi concreti e a strumenti di regolazione.
Oggi questo modello è stato messo in crisi, e la pianificazione urbanistica viene tropo spesso ricondotta ad un mero dispositivo tecnico, tanto da apparire depotenziata nelle sue aspirazioni politiche e sociali. Ne consegue pertanto che il piano urbanistico e lo stesso progetto urbano tendano a fondarsi più sulla logica dell’attrattività e della competizione globale che su quella dell’equità, e ad affidare alla ‘città neoliberale’ il compito di selezionare, più che di includere, e a valorizzare, più che a redistribuire.
L’indebolimento del riformismo e il venir meno della autorevolezza della pianificazione hanno prodotto nelle città effetti concreti e probabilmente irreversibili. Da quando le politiche urbane sembrano inseguire le dinamiche del mercato più che orientarle, assistiamo in modo sempre più frequente al riprodursi di processi spontanei di gentrification, che segnalano la progressiva marginalizzazione del welfare urbano e la sua sostituzione con i dispositivi del marketing territoriale.
In assenza di una visione riformatrice della città, le iniziative della pubblica amministrazione appaiono pertanto quasi sempre episodiche, slegate tra di loro e dettate dall’emergenza. Nella maggioranza dei casi esse si dimostrano incapaci di affrontare le cause strutturali della esclusione sociale e della ingiustizia urbana, e l’assenza di una regia pubblica forte impedisce di integrare in un disegno unitario gli interventi settoriali sulla casa, sulla mobilità, sui servizi e sulla coesione sociale.
Le cronache più recenti testimoniano con evidenza la scarsa consapevolezza di questo modus operandi, e tanto le pagine di questa Rivista – quanto le posizioni assunte dall’Istituto soprattutto nel corso degli ultimi anni -– indicano l’esigenza di contrastare con energia la tendenza a sostituire il quadro normativo messo a punto nella lunga stagione riformista con provvedimenti settoriali e di corto respiro. In questi interventi abbiamo più volte sottolineato i pericoli insiti in questa azzardata ‘rimozione’, che nel rinviare per l’ennesima volta la proposizione di una legge nazionale di riordino della materia urbanistica ha finito per ampliare in modo indiscriminato il concetto di ristrutturazione edilizia. Iniziative di questo tipo mirano evidentemente a sottrarre tale tipologia d’intervento alla verifica per legge assegnata di norma alla strumentazione urbanistica attuativa, con la conseguenza di determinare un’ulteriore contrazione del potere di indirizzo e di capacitazione delle comunità urbane in ordine ai cambiamenti che sono in atto nelle nostre città (Talia 2024).

La necessità di una nuova cultura urbana

Eppure, è proprio nella città che si possono ancora intravedere le tracce di un possibile rinnovamento. Per farlo, è necessario ricostruire una cultura urbana fondata su alcuni principi chiave: il diritto alla città, la centralità della cura, la co-progettazione dei territori, la giustizia ambientale.
Una nuova cultura urbana deve tornare a considerare lo spazio non come supporto neutro di funzioni economiche, ma come campo di relazioni sociali e politiche. Le esperienze di autorganizzazione, mutualismo, rigenerazione dal basso che emergono in molti contesti urbani – pur frammentarie – mostrano che è possibile riattivare immaginari collettivi a partire dai bisogni concreti delle persone.
Ripensare la città significa anche riconoscere il valore della prossimità, della lentezza, della diversità. Ciò comporta altresì la disponibilità ad investire sulla scuola, sulla sanità territoriale, sulla mobilità pubblica, su spazi pubblici di qualità. E ne consegue altresì la capacità di dotarsi di strumenti normativi, fiscali e amministrativi che non si limitino a ‘governare il cambiamento’, ma che siano in grado di orientarlo verso fini collettivi.
Una rinnovata cultura urbana non potrà che essere profondamente ‘politica’: capace, cioè di mettere in discussione gli assetti di potere, di redistribuire risorse e opportunità, di costruire nuove forme di cittadinanza. In questo senso, la città può tornare ad essere il luogo in cui sperimentare un riformismo radicale, capace di coniugare realismo e ambizione, conflitto e progetto. [2]
La crisi del riformismo, lungi dall’essere un destino inevitabile, può rappresentare un’occasione per rinnovare le sue basi culturali e politiche. Per farlo, occorre partire dalla città: da quella dimensione materiale e simbolica in cui si condensano le contraddizioni del presente, ma anche le potenzialità del cambiamento.
Recuperare una visione riformista significa oggi assumere la complessità senza rinunciare all’ambizione, e riconoscere che la trasformazione non può più essere affidata solo ai grandi apparati, ma deve nascere anche dai margini, dalle pratiche quotidiane, dalle coalizioni civiche. In questo senso, l’idea di città può tornare ad essere, ancora una volta, il motore di un pensiero politico capace di futuro.

[1Vedi, a questo proposito, Harvey (2013).

[2Utili suggestioni sono contenute, a tale proposito, nel volume di Manzini (2022).

Riferimenti bibliografici

Bauman Z. (2002), La società sotto assedio, Il Mulino, Bologna.
Harvey D. (2013), Città ribelli. I movimenti urbani dalla giustizia sociale alla rivoluzione urbana, Il Saggiatore, Milano.
Manzini E. (2022), Politiche del quotidiano. Progettare per i beni comuni, Edizioni di Comunità, Roma.
Talia M. (2024), “Per uscire dall’angolo …”, Urbanistica Informazioni, no. 318, p. 9-10.

Pubblicato il 30 settembre 2025