Urbanistica INFORMAZIONI

La città che cura la città che cambia

La forza prorompente della pandemia da Covid 19, l’immediatezza e l’imprevedibilità del suo manifestarsi, stanno sconvolgendo teorie e pratiche di uso e gestione del territorio. Le rendite fondiarie e differenziali, sia intese come opportunità di sviluppo urbano per alcuni che come minaccia per altri, stanno ridimensionando e ridefinendo i propri confini. Ne sono testimonianza i centri direzionali semiabbandonati e i centri storici vuoti, privati della principale fonte di reddito costituita dal turismo. È probabile che alla fine del 2021 il vecchio modello di sviluppo urbano riprenda parzialmente quota, ma nulla sarà più come prima nella organizzazione del territorio.

Sul fronte della lotta al virus sono stati i medici ospedalieri e di base a invocare una riorganizzazione del sistema sociosanitario che fosse meno incentrato sugli ospedali e più radicato nel territorio. La battaglia contro il virus è un’operazione complessa che deve vedere la convergenza di molteplici fattori. I vaccini aprono un varco di speranza ma non saranno sufficienti a fermare l’onda lunga degli effetti della pandemia. In un’intervista al giornale britannico “Guardian” del 1 gennaio Adrian James, presidente del Royal College of Psychiatrists dichiara che questa pandemia è probabilmente il colpo più profondo alla salute mentale dalla seconda guerra mondiale, che milioni di persone compresi i bambini avranno bisogno di un sostegno supplementare contro il disagio mentale, soprattutto sotto forma di ansie e depressioni dovute alle condizioni d’isolamento, alla morte di persone care o al timore di infettarsi o di infettare . Gli anziani corrono il rischio di assuefarsi all’isolamento sociale con le inevitabili conseguenze sullo stato di salute. Per evitare ciò James invoca il sostegno delle associazioni di volontari che possano aiutare gli anziani ad uscire di casa e a impegnarsi in attività che diano loro soddisfazione.

La pandemia e la minaccia di nuove manifestazioni di contagio a causa delle probabili mutazioni del virus stanno generando la consapevolezza che si deve ripensare la città in una prospettiva sostenibile di rifondazione dei suoi principi costitutivi. Un recente sondaggio tra cittadini delle principali capitali europee commissionato dalla società ARUP ha mostrato un orientamento prevalente verso una città a misura d’uomo che non tragga le principali energie dalla competitività bensì dalle reti collaborative di prossimità. Altre fonti rivelano la speranza nutrita da molti cittadini di vivere in una città solidale non solo e non tanto per convinzione morale quanto per convenienza sociale.

È di grande attualità la recente sentenza della Corte Costituzionale n.131/2020 che riguarda il volontariato, in particolare le attività degli Enti del terzo settore dei quali riconosce il ruolo determinante per la capacità di fornire informazioni e intervenire positivamente sul tessuto sociale, aumentare la qualità dei servizi a favore della “società del bisogno”. [1]
Un’opportunità di rigenerazione del territorio in chiave collaborativa è costituita dalla inderogabile necessità di strutturare nel territorio i servizi sociosanitari di base in funzione antipandemica. È un’iniziativa che deve realizzarsi con urgenza, ma che rischia di configurarsi come un’articolazione burocratica dei distretti sanitari, mentre può essere concepita come un’opportunità per mobilitare tutte le risorse presenti nei territori in una visione olistica della cura. Occorre rovesciare il punto di vista e partire dal basso, indagare nelle aree ove si sta in contatto con la realtà in continua trasformazione, dove si formano spontaneamente comunità solidali, relazioni collaborative di vicinato, iniziative di prossimità dei servizi in un raggio di percorrenza pedonale e ciclabile limitata nel tempo.

L’urgenza della riorganizzazione territoriale del servizio sanitario nazionale può essere occasione per una più generale riflessione sui servizi di prossimità. Un’interessate sperimentazione di organizzazione territoriale della Sanità è illustrata nel libro “La città che cura” pubblicato nel 2018 (edizioni alphabeta) e curato da Giovanna Gallio e Maria Grazia Cogliati Dezza. A Trieste, terra di sperimentazione di nuovi percorsi di salute mentale, dal 2005 in poi è stato realizzato il progetto “microaree” per verificare, in contrasto con la cultura dell’internamento e del ricovero, la possibilità di curare partendo dalle condizioni di vita dei soggetti nel loro habitat. Il termine “microaree” già definisce i contorni dentro cui si è mossa la sperimentazione, in mezzo ai grandi caseggiati di case popolari o dentro insediamenti abbastanza estesi ma non troppo in modo da poter avviare un processo conoscitivo su due piani paralleli: da un lato la mappa delle risorse esistenti, ricostruendo strada per strada le condizioni abitative, la capacità delle persone di convivere e l’accesso ai servizi prioritari; dall’altro la mappa dei bisogni , raccogliendo informazioni su campo e esaminando dati statistici :età media, malattie più diffuse, quantità di prestazioni erogate, quantità di farmaci e così via. Il progetto basato fin dall’inizio sul coinvolgimento di quanti più soggetti possibile, ha attivato la popolazione e le istituzioni che, da vicino o da lontano, incidono su quel territorio. L’analisi di natura olistica ha preso in considerazione i problemi sanitari insieme a quelli dell’abitare, del convivere, fino ai problemi esistenziali e sociali legati al reddito e al lavoro. L’inchiesta, a cura di operatori esperti, ha reso necessario, nel suo evolversi, l’apertura di una piccola sede destinata a essere un punto di riferimento per la popolazione.

Era stata la psichiatria a muoversi per prima orientando l’attenzione ai luoghi e ai contesti di vita in opposizione alla logica della segregazione, ma dalla metà degli anni 90 questa impostazione è stata estesa alle altre branche della medicina: diabete, disturbi cardiovascolari, tumori ecc. Il territorio non è quindi il semplice sfondo dell’azione sanitaria ma la miniera dalla quale estrarre la materia prima che dà forma e sostanza alle attività di cura. Quando curi un paziente in ospedale curi il corpo della persona; se lo curi a casa sei obbligato a vedere dove abita, la qualità dell’ambiente, chi gli sta intorno. Il lavoro sperimentale delle microaree ha influenzato, in un gioco dialettico, la formazione e il funzionamento dei distretti sanitari, che sono stati concepiti, in alternativa alle risposte date dall’ospedale, come dispositivi che aggregano tutte le risposte sanitarie relative a un determinato territorio, compresa la prevenzione delle malattie con la cura dei cibi, il monitoraggio della salubrità dell’aria e dell’acqua ecc. Al di là e oltre i problemi organizzativi non del tutto superati, conta che si sia affermata una visione olistica che vede la malattia dentro la vita non dentro un letto d’ospedale. Il lavoro sulle microaree si è rivolto principalmente ai rioni in cui si concentra la povertà, ma i distretti che applicano questa visione raggiungono tutte le fasce della popolazione. L’insegnamento del progetto microaree è chiaro: se si mette il capitale sociale delle comunità locali al centro dei dispositivi sanitari la città si configura come una “città che cura”.

È questa una prospettiva di sviluppo per l’intero sistema sanitario nazionale, con distretti sociosanitari che cessano di essere mere espressioni geografiche e diventano istituzioni aperte e flessibili entro le quali si organizzano risposte intersettoriali ai bisogni di salute. Una risposta intersettoriale è possibile se ci si immerge nelle condizioni di vita dei cittadini che esprimono in modo naturale una visione olistica. Nell’ambito del progetto microaree è stata realizzata un’iniziativa di progettazione partecipata nel quartiere “Gretta” di Trieste in collaborazione con un’associazione di architetti e ingegneri chiamata “Kallipolis” formata da esperti di progettazione partecipata. Dichiara Michela De Grassi, una delle animatrici del progetto: “la microarea deve essere considerata un sistema complesso adattivo, formato da molte componenti in interazione tra loro, che giorno per giorno lo trasformano al di là della nostra capacità di prevedere o di calcolare. Perciò il lavoro di microarea, che si alimenta delle sue stesse emergenze e capacità di autorganizzazione, esige un approccio olistico. Viceversa, nel lavoro di distretto tutto quello che fai viene computato e certificato e il protocollo riduce fatalmente la creatività la fantasia l’innovazione”.

Costruzione di comunità, rapporti di vicinato, volontariato, prossimità, autorganizzazione: sono queste le parole chiave per una riorganizzazione territoriale del sistema sociosanitario nazionale in una dimensione intersettoriale e interdisciplinare.
Come e quanto la riorganizzazione territoriale del servizio sanitario secondo il modello delle microaree può pilotare una riorganizzazione generale del territorio? È possibile pensare questa riorganizzazione in termini olistici e fondarla su servizi di prossimità facilmente accessibili? È possibile un’organizzazione territoriale diffusa, flessibile, dinamica, aperta al contributo dei cittadini, che si rinnova giorno dopo giorno in base all’interazioni quotidiana con la vita concreta delle persone?
Se riusciamo a dare una risposta positiva a queste domande si potrebbe concludere che le sofferenze provocate dalla pandemia non sono state un vano sacrificio.

[1(Gli Enti del terzo settore ) spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della “società del bisogno”».(sentenza Corte Costituzionale n.131/2020)

Data di pubblicazione: 5 gennaio 2021