Urbanistica INFORMAZIONI

Il nuovo ruolo dell’Italia nell’urbanistica europea

Una delle motivazioni più importanti, anche se meno analizzate, del passaggio da una concezione sempre meno attuale di urbanistica ad un’altra, ben più ampia e articolata, di governo del territorio è legata senza dubbio al bisogno di sfuggire ai vincoli imposti da una cultura della pianificazione che oltrepassava a fatica i confini territoriali e operativi delle aree più densamente antropizzate. Soprattutto nel nostro Paese, un cambiamento così rilevante puntava al superamento dei condizionamenti esercitati da un quadro normativo che si fondava su una rigida regolazione delle trasformazioni edilizie, che non era quasi mai in grado di cogliere le interessanti opportunità offerte alternativamente, e ad una scala sempre più ampia, dalla progettazione urbanistica e dalla pianificazione strategica.
A fronte di una tradizione culturale e professionale che affondava le sue radici nel nostro ordinamento istituzionale e nelle costruzioni giuridiche del diritto romano, le nuove sfide proposte a livello nazionale e internazionale dal processo di globalizzazione, dalle innovazioni tecnologiche e dalle stesse politiche europee ci costringono ad esaminare la possibilità di un risoluto cambio di paradigma, che passa attraverso una intensificazione dei rapporti che siamo soliti intrecciare con i sistemi di pianificazione e le pratiche urbanistiche sperimentati nel resto dell’Europa.
A tale proposito conviene innanzitutto ricordare che questa ’apertura’ nei confronti della dimensione internazionale del planning non rappresenta in alcun modo una novità per la nostra scuola urbanistica, che a partire dai primi decenni del ventesimo secolo ha prestato una certa attenzione agli esperimenti compiuti nel campo della pianificazione soprattutto in Inghilterra e nei paesi nord-europei. Anche per effetto di tendenze alternative alla convergenza e alla frammentazione dei principali temi di interesse, le elaborazioni di ricerca e le esperienze concrete che venivano messe a punto in ciascun contesto nazionale si sono sviluppate in assenza di un mainstream unificante.
A dimostrazione dell’evidente pragmatismo dello statuto disciplinare, in ciascuna realtà nazionale è stato avvertito un forte condizionamento, che veniva esercitato da fattori quali l’ordinamento giuridico (common law vs. civil law), la struttura insediativa e le sue dinamiche, l’articolazione del potere locale, i comportamenti abitativi e gli orientamenti assunti dalla formazione specialistica. In Italia, in particolare, il pendolo tra la condivisione di un programma di respiro almeno europeo sulle politiche urbane e l’impulso alla autoreferenzialità è oscillato ripetutamente, a dimostrazione da un lato della marginalità in cui si è sviluppata la nostra cultura di governo del territorio, e dall’altro delle rilevanti analogie registrate dai processi di urbanizzazione che si stavano affermando su scala continentale (Talia 2014).

Riprendere contatto con la scena internazionale

Si deve probabilmente ad una letteratura scientifica frammentaria e discontinua, se la comparazione fra i sistemi di pianificazione europei appare ancora piuttosto problematica, ma quando il confronto si sposta dagli aspetti giuridico-istituzionali all’esame delle sperimentazioni concrete non possiamo fare a meno di osservare che le somiglianze diventano molto più accentuate, fino al punto di evidenziare una sorta di omologazione, “con politiche, azioni e strumenti sorprendentemente simili, pur nel contesto di sistemi di pianificazione spaziale diversi” (Saccomani 2017).
Anche per effetto di una consapevolezza che si è fatta strada molto lentamente circa una sorta di riallineamento dell’Italia rispetto alle altre scuole nazionali di pianificazione, il nostro dibattito disciplinare si trova finalmente nelle condizioni di fruire degli stimoli preziosi offerti dalla individuazione di nuove priorità di ricerca, da una generalizzazione del linguaggio tecnico e, soprattutto, dall’apertura di inediti campi di sperimentazione. Si tratta soprattutto dei temi relativi al climate change, al contenimento del consumo di suolo, alla sicurezza individuale e collettiva, alla digitalizzazione delle procedure tecnico-amministrative della pianificazione, alla parametrizzazione dei benefici ascrivibili più direttamente alle politiche pubbliche, con sviluppi metodologici e applicativi che tradiscono un’attenzione crescente per le regole di validazione dei risultati della ricerca e della formazione, e quindi anche per il loro accreditamento.
Naturalmente questo impulso prepotente alla internazionalizzazione non è privo di controindicazioni, ma la rinuncia (momentanea?) ad approfondire i tratti distintivi della città italiana può comunque favorire la ricerca di soluzioni atte a rispondere più efficacemente alle questioni poste attualmente dai processi di urbanizzazione, e a sollecitare il superamento di alcuni fattori che ci penalizzano maggiormente: in primo luogo la prolungata crisi di risultati della disciplina urbanistica, ma anche l’assenza di strumenti tecnici, provvedimenti normativi e politiche pubbliche atti ad influire sulla pianificazione spaziale a livello nazionale.
Nel tentativo di contribuire al superamento del marcato isolamento dell’urbanistica italiana dalle altre scuole europee di pianificazione, l’Istituto nazionale di urbanistica intende proseguire una collaborazione offerta storicamente alla internazionalizzazione del dibattito disciplinare nel nostro Paese (Talia 2022). Superando l’estemporaneità di alcuni passi già compiuti in questa direzione, talvolta dallo stesso Istituto, e puntando ad una effettiva integrazione tra competenze e saperi a cui le diverse scuole nazionali stanno offrendo il proprio apporto, la scelta di organizzare insieme all’ECTP-CEU (European Council of Spatial Planners) la XIV Biennale delle Città Europee e degli Urbanisti che si svolgerà a Napoli dal 28 novembre al 2 dicembre 2023 intende avviare un processo di forte radicamento, anche nella cultura di settore e nel mondo delle professioni, di quella società globale della conoscenza che ormai egemonizza l’innovazione tecnologica, la diffusione delle informazioni e lo stesso prestigio scientifico delle istituzioni culturali e politico-amministrative che operano nel campo del governo del territorio.
I lavori della Biennale e degli altri eventi collegati (il 13° Premio europeo di pianificazione urbana e regionale e il 12° Workshop per giovani pianificatori) saranno incentrati sul tema, vasto e complesso, dell’inclusione (socio-culturale, territoriale, urbana, ecc.), che verrà declinata nei suoi differenti aspetti, anche al fine di sottolineare l’importanza che essa riveste in relazione al successo delle politiche pubbliche finanziate dal PNRR per combattere l’iniquità sociale, che rischia di essere ulteriormente accentuata dal processo di transizione ecologica attualmente in atto.
Dopo le precedenti edizioni della Biennale delle Città Europee e degli Urbanisti di Roma (1997) e di Genova (2011), questo nuovo appuntamento segna un significativo momento di svolta, che a causa della crescente influenza sulla pianificazione italiana delle politiche e delle regolamentazioni europee ci spinge ad osservare con una crescente attenzione l’osservatorio internazionale. Anche per questo motivo l’impegno che l’Inu dovrà garantire in vista del successo di questa importante manifestazione non potrà riguardare semplicemente il controllo degli aspetti organizzativi dell’iniziativa, o il coordinamento degli interventi scientifici che verranno presentati, ma dovrà mettere in campo un’autonoma capacità di elaborazione, con cui guidare la messa a punto di proposte originali in materia di governance territoriale e urbana.
Tenendo conto che la scena italiana denuncia una diffusa aspirazione a operare un deciso riavvicinamento nei confronti di una tradizione internazionale di ricerca che viene ancora percepita come un riferimento di eccellenza, un primo passo in questa direzione potrà condurre ad una ulteriore valorizzazione del ruolo assegnato a Urbanistica e Urbanistica Informazioni, ponendo le basi per l’acquisizione per le nostre Riviste di un ruolo più autorevole e riconosciuto nella scena internazionale.
Naturalmente questa spinta alla internazionalizzazione non si limiterà ad operare alcuni cambiamenti assai rilevanti nel panorama editoriale, e mutamenti significativi potranno maturare contemporaneamente anche nel rapporto tra le istituzioni accademiche, e tra i luoghi di produzione e di diffusione delle conoscenze. Si manifesta pertanto la possibilità di assistere ad un ulteriore processo di emarginazione ai danni delle strutture universitarie più deboli, o meno preparate a competere, con un aumento della mobilità degli studenti che può determinare effetti antitetici per le aree di provenienza (fuga di cervelli) e per quelle di destinazione, dove l’afflusso qualificato di giovani può contribuire all’attivazione di nuovi processi di sviluppo locale.

Nuove prospettive di ricerca e di approfondimento in una prospettiva europea

Per effetto di quell’impulso prepotente alla internazionalizzazione che la pandemia ha solo momentaneamente attenuato, le posizioni di rendita legate al localismo e ai rapporti di prossimità tipici dei circuiti istituzionali e accademici sembrano destinate a smarrire la propria capacità di condizionamento, a vantaggio di un nuovo capitalismo cognitivo, e della sua attitudine a modificare radicalmente la geografia del potere e del prestigio scientifico (Talia 2014: 136).
Nella prospettiva indicata l’impegno che l’Inu intende dedicare al potenziamento della partecipazione italiana al dibattito internazionale sul governo del territorio può offrire importanti suggestioni all’attività di un nuovo gruppo di lavoro sulla riforma dei saperi che abbiamo costituito di recente, al fine di contrastare un approccio, che ritenevamo piuttosto limitato, alla revisione delle classi di laurea e dei settori scientifico-disciplinari. Nell’insieme questi temi prefigurano una diversa e più matura partecipazione al dibattito internazionale che amplia le responsabilità del nostro Istituto ben oltre la scadenza della XIV Biennale.
I limiti di questo contributo mi spingono a rinviare ad un’altra occasione una riflessione sulle prospettive che si offrono alla nostra iniziativa che richiederebbe molto più spazio, e riscontri assai più approfonditi. Per ora mi limiterò ad osservare che i processi di globalizzazione tuttora in corso, anche se non hanno finora indotto l’Unione europea ad assumere una competenza specifica in materia di governo del territorio, hanno tuttavia persuaso tale organismo ad adottare il principio della competenza concorrente con gli Stati membri. Un potere di indirizzo, quest’ultimo, che è finalizzato al perseguimento della coesione economica, sociale e territoriale, e dunque alla riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni.
L’obiettivo del superamento delle principali cause della polarizzazione tra aree forti e aree deboli all’interno del nostro continente può apparire ormai acquisito, al punto da aver alimentato già da tempo una politica della coesione che dispone di strumenti di intervento dedicati e di specifiche linee di finanziamento, per quanto piuttosto esigue. In realtà tale convinzione può essere facilmente confutata, se solo si considera che i fattori che stanno determinando le principali asimmetrie stanno cambiando piuttosto rapidamente, fino al punto che la geografia economica dell’Unione si sta caratterizzando per la presenza di una nuova faglia che attraversa l’Europa, e che segna una netta separazione dell’Est dal Sud del continente.
Per l’effetto combinato di una crescente disattenzione per il tema della disuguaglianza, del prolungato inverno demografico che affligge da tempo la popolazione europea e delle trasformazioni indotte da una transizione digitale che incide sul decentramento dei processi produttivi e sulla polarizzazione della domanda di lavoro, le “crescenti e multiformi disparità fanno sì che a differenza del passato alla crescita del benessere europeo non corrisponda più la crescita del benessere di tutti gli europei, o quantomeno della loro grande maggioranza” (Viesti 2021).
Questa forte accentuazione della spinta alla divaricazione degli interessi della popolazione europea, e dell’ampliarsi della difficoltà a fare sintesi, rischia di determinare una progressiva e contemporanea sfiducia nella razionalità scientifica e nelle leggi del mercato, cui si deve tra l’altro l’attrazione esercitata negli ultimi anni dai movimenti populisti e sovranisti.
Le chiavi interpretative con cui affrontare il difficile rapporto che la società contemporanea e le sue istituzioni tendono a stabilire con i processi cognitivi ci spingono pertanto a ripercorrere una letteratura piuttosto ampia, che esplora le trasformazioni epistemologiche e metodologiche che hanno caratterizzato la filosofia della scienza almeno a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Un approfondimento di questo tipo ci consente altresì di evidenziare il modo in cui l’evoluzione della scienza è stata progressivamente assimilata alla tecnologia, con un’enfasi crescente sulla ricerca applicata, e sulla capacità di quest’ultima di porre in secondo piano gli aspetti etici, sociali e culturali del lavoro scientifico.
Ancora una volta il ricorso ad un osservatorio internazionale può fornirci qualche fondamentale suggestione circa i possibili effetti di un cambio di paradigma di tale rilevanza, e sugli effetti che tale mutamento può produrre sui processi di pianificazione. È questo il caso senza dubbio della riflessione sviluppata da Louis Mumford, che già nel 1967 ci ricordava che la scienza potrà recuperare il suo potenziale emancipativo, solamente se sarà in grado di imporre una visione più equilibrata ed umanistica della realtà. E, al tempo stesso, se riuscirà a superare quella tradizionale frattura tra le scienze umane e le scienze esatte che rischia di compromettere un funzionamento equilibrato delle istituzioni culturali e scientifiche, con la duplice conseguenza di favorire una collaborazione più bilanciata tra le diverse discipline, e di contribuire alla affermazione di un approccio integrato ed umanistico alla conoscenza.

Riferimenti

Mumford L. (1967), The Myth of the Machine: Technics and Human Development, Harcourt, New York.
Saccomani S. (2017), “Territori europei tra governo e pianificazione. Commento al libro di Umberto Janin Rivolin”, Città Bene Comune, Milano.
Talia M. (2014), “Verso una convergenza internazionale delle scuole di pianificazione”, Atti SIU XVII Conferenza Nazionale - L’urbanistica italiana nel mondo, Planum Publisher, Milano.
Talia M. (2022), “Il contributo dell’INU alla evoluzione della cultura urbanistica italiana”, Urbanistica, LXXII, no. 165-166.
Viesti G. (2021), Centri e periferie. Europa, Italia, Mezzogiorno dal XX al XXI secolo, Laterza, Bari.

Data di pubblicazione: 28 maggio 2023