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Dublino: rigenerazione urbana tra boom e crisi

È opinione consolidata che le città di maggiori dimensioni risentano per prime e con maggiore intensità delle oscillazioni dell’economia e dei mutamenti sociali che si producono a tutte le scale geografiche, da quella regionale a quella globale. Tra le città europee di maggiori dimensioni, Dublino è un esempio di quanto i processi di riadattamento economico, sociale e fisico possano essere estesi e tumultuosi. Una ponderosa letteratura spiega come le città abbiano sofferto per prime del declino dei modelli industriali tradizionali; l’affermarsi di nuove economie post-industriali e della globalizzazione avrebbe poi generato nuove opportunità di sviluppo ed occasioni di riorganizzazione spaziale [1].
Dublino è stata (insieme all’Irlanda nel suo complesso), per buona parte degli anni Novanta e fino al 2007, momento di innesco della crisi globale che tuttora attanaglia buona parte del mondo occidentale, l’Irlanda è stato infatti il paese con il più alto tasso di crescita in Europa (Barry, 1999). La rigenerazione è stato oggetto di grande interesse nelle analisi urbane e regionali compiute da varie prospettive scientifiche [2]. L’area metropolitana attorno alla capitale è il contesto in cui tali cambiamenti si sono prodotti con maggiore forza, sia sul piano demografico e sociale sia su quello delle trasformazioni fisiche ed infrastrutturali [3].
La rapidità con cui questo processo di sviluppo urbano si è generato rendono perciò il caso di Dublino di particolare interesse per osservare l’impatto che le dinamiche di mercato possono produrre alla scala urbana e metropolitana.
A partire da una ricostruzione delle principali tappe del processo di rigenerazione urbana nell’ultimo ventennio, e con particolare attenzione ad una esperienza emblematica quale quella dei Docklands, questo articolo prova ad estrarre alcune lezioni che il caso della capitale irlandese pone agli studi urbani ed alle politiche pubbliche in genere.

La rigenerazione dei Docklands

Ai margini orientali del centro storico e commerciale della città, i Docklands sono stati una delle due principali aree industriali di Dublino. Fino alla fine degli anni Settanta l’identità dei Docklands era praticamente coincidente con le attività portuali che occupano buona parte dei suoi 526 ettari di superficie. Il suo paesaggio tradizionalmente caratterizzato da una commistione di infrastrutture di trasporto, aree industriali e strutture per lo stoccaggio e la commercializzazione delle merci. Nel corso degli anni Settanta, la meccanizzazione delle attività portuali e l’impiego dei container riduce drasticamente la necessità di grandi superficie per la movimentazione delle merci, marginalizzando di conseguenza anche il ruolo di questa grande area per l’economia della città.
Nel decennio la popolazione dei Docklands diminuì di oltre il 20%, esacerbando le già drammatiche condizioni sociali della residuale popolazione che vi risiedeva. Tra il 1975 ed il 1984 gli occupati del porto passarono da 7.403 a 5.200 unità, mentre tra il 1981 ed il 1986 il tasso di disoccupazione a Sheriff Street – una delle vie nel cuore dei Docklands – si mosse verso la cifra record del 70% (Dublin Corporation, 1986). In poco più di un ventennio, il processo di delocalizzazione produttiva ed il declino demografico resero l’area dei Docklands una delle aree centrali più degradate della città e forse la più problematica dal punto sociale.

Le prime iniziative di riqualificazione urbana: 1986-1997

Quando il governo nazionale vara l’Urban Renewal Act l’area dei Docklands fu tra le prime aree ad essere prescelta per sperimentare gli effetti della nuova legislazione. Per essa fu prevista l’istituzione di una agenzia di sviluppo, la Custom House Docks Development Authority (CHDDA), cui veniva attribuita la responsabilità di introdurre un modello urbanistico più flessibile rispetto al passato e di gestire il sistema degli incentivi fiscali dedicati alla realizzazione di un nuovo grande polo direzionale, l’International Financial Services Centre (IFSC).
La realizzazione di questo centro direzionale avrebbe dovuto rispondere ad una serie di obiettivi molto ambiziosi, tra i quali accrescere il gettito fiscale a vantaggio dell’economia nazionale, bloccare la fuga di “cervelli” e personale qualificato che si era manifestata negli anni del declino, oltre naturalmente a riqualificare una delle aree più degradate della città. L’istituzione della CHDDA e la realizzazione dell’IFSC, di fatto, segnavano l’apertura di una nuova stagione nella politica urbana della città, esplicitamente orientata al mercato ed ispirata ai principi del neo-liberismo.
Il principale risultato economico dei primi dieci anni della rigenerazione dei Docklands è dunque strettamente legato alla realizzazione dell’International Financial Services Centre, una città degli affari in grado di generare 15.000 nuovi posti di lavoro e di accogliere al suo interno circa 500 nuove compagnie internazionali. L’impatto del progetto dal punto di vista economico è così consistente che nel 1996 i prestiti assorbiti dalle imprese presenti all’interno dell’IFSC superavano quelli totali erogati nell’intera nazione (Moore, 2008).
Mentre la realizzazione del centro direzionale aveva plasmato il paesaggio costruito nel cuore dei Docklands, il resto del masterplan originario approvato nel 1987 fu attuato solo parzialmente.
Le differenze più consistenti riguardano il settore commerciale, dove le attività di vendita realizzate sono state quasi esclusivamente orientate a soddisfare la domanda proveniente dagli impiegati dell’IFSC, e l’edilizia residenziale, dove il principale quartiere di abitazione costruito all’interno dei Docklands (Custom House Harbour) si rivelò una sorta di gated community concepita dai costruttori sul profilo sociale dominante nel quartiere di affari.
La polarizzazione sociale generata da questo approccio all’interno dei Docklands costituisce per lunghi anni una questione aperta nelle politiche di rigenerazione per il quartiere. Mentre infatti tali politiche si sono rivelate estremamente efficaci nell’attrazione di nuove economie e posti di lavoro, riescono ad incidere debolmente sui fenomeni di marginalità sociale e la disoccupazione di lungo periodo ai margini dell’IFSC.
Quando durante gli anni Novanta muta lo scenario politico, con l’abbandono del Thatcherismo, il ritorno di interesse verso le “comunità urbane” afferma anche un nuovo approccio alle politiche di rigenerazione urbana nel contesto irlandese. Per l’area dei Docklands ciò si traduce nella contrazione degli incentivi finanziari destinati ai developers privati e la creazione di nuova agenzia di sviluppo – la Dublin Docklands Development Authority (DDDA) – chiamata a promuovere un approccio maggiormente inclusivo per un’area più estesa di quella interessata dai primi investimenti.

La gestione “sostenibile” del boom economico: 1997-2008

La struttura organizzativa della DDDA prevedeva un modello di governance orientato a garantire una più ampia rappresentanza dei diversi portatori di interesse alla scala locale, tra cui i rappresentanti delle comunità radicate nei quartieri, ed una maggiore attenzione alle tematiche sociali. Mentre la missione dell’agenzia rimaneva quella di investire circa 444 milioni di euro di fondi pubblici per facilitare l’investimenti di altri 1.590 milioni di euro di fondi privati, l’attenzione alla dimensione sociale assunse un ruolo più rilevante nella rigenerazione dell’area.
Il programma sociale nel piano di rigenerazione gestito dalla DDDA aveva tra i suoi obiettivi anche quello di incrementare l’occupazione, riqualificare le professionalità in vista di nuove collocazioni nel mercato del lavoro e riservare circa il 20% dei nuovi posti di lavoro creati nell’area alla popolazione già residente.
Dal punto di vista urbanistico tale politica si tradusse in una maggiore attenzione verso il tema dell’housing e dell’edilizia residenziale a canoni controllati. Infatti, nonostante il boom edilizio nell’intero paese, l’offerta di abitazioni nell’area dei Docklands rimaneva tutto sommato contenuta e spesso al di fuori della portata di ampie fasce di popolazione residente.
La presenza di agevolazioni fiscali continuava a rendere l’investimento immobiliare nei Docklands estremamente vantaggioso rispetto ad altri contesti territoriali, tanto che le aste per la concessione delle aree destinate all’edilizia residenziale riscuotevano una straordinaria partecipazione da parte degli investitori privati. Tuttavia, non si riusciva ad impedire che il prezzo finale degli appartamenti crescesse a dismisura rispetto al potere di acquisto della popolazione residente.
Il malcontento per questa situazione spinse le rappresentanze delle comunità locali ad esercitare una forte pressione sull’agenzia perché rivedesse le politiche di housing per la zona. Il risultato fu che una quota del 20% delle nuove abitazioni costruite nei Docklands venisse riservata a finalità sociali e dunque destinata a residenti da lungo tempo nella zona o provenienti da quartieri limitrofi.
Il primo progetto residenziale completato in attuazione di questa politica fu a Clarion Quay, nell’area nord dei Docklands, dove 37 delle 185 unità immobiliari realizzate furono riservate a edilizia sociale gestita da una cooperativa locale. Una misura del successo di tale iniziativa in risposta alla mancanza di disponibilità di abitazioni sociali fu il tentativo del governo di estendere il modello di Clarion Quay a livello nazionale tramite il Planning and Development Act del 2000. Tuttavia, la pressione delle lobby dei costruttori convinse il governo nazionale a rivedere la proposta sostituendo l’obbligo di riservare il 20% delle abitazioni a finalità sociali con una proporzionale contribuzione finanziaria da destinare alle autorità locali.
Altrettanto rilevante, oltre che per i risultati conseguiti dal punto di vista economico, va considerato il ruolo della rigenerazione dei Docklands nel trasmettere una rinnovata immagine della città a livello internazionale. Soprattutto nell’ultimo decennio la città ed il suo waterfront sono stati terreno di sperimentazione per alcune delle maggiori archistar internazionali, le quali sono state chiamate a progettare edifici iconici che svolgessero la funzione di nuovi landmark urbani.
Tra questi vanno certamente citati il nuovo National Convention Centre di Kevin Roche, il Grand Canal Theatre di Daniel Liebskind, il Beckett Bridge di Santiago Calatrava. L’elenco sarebbe certamente più lungo se la crisi immobiliare post 2007 non avesse interrotto la realizzazione di altri, e più ambiziosi, progetti architettonici quali la Dublin Tower su progetto di Zaha Hadid e la U2 Tower progettata da Norman Foster.
Quest’ultimo progetto forse incarna meglio di ogni altro i dubbi emersi circa la sostenibilità nel lungo periodo del modello di sviluppo dominante per due decenni a Dublino. Dopo che la sua realizzazione è stata posticipata varie volte ed il costo di costruzione quasi quadruplicato rispetto alle stime iniziali, al fine di ripianare i debiti dell’operazione l’area è stata acquistata dal National Asset Management Agency, l’autorità creata dal governo nazionale per contrastare la crisi del settore immobiliare.

Questioni e prospettive

Sin dalla metà degli anni Ottanta, dunque, Dublino è stata interessata da una molteplicità di politiche di rigenerazione urbana che ne hanno ridefinito il profilo economico, assicurandone un riposizionamento a livello internazionale, e riconfigurato ampie porzioni dell’area urbana. La riqualificazione dell’area centrale ha giocato un ruolo essenziale in questo processo, tornando ad essere un luogo desiderabile per gli abitanti dopo alcuni decenni di degrado ed il motore di una rinnovata vitalità dal punto di vista economico e culturale. L’area dei Docklands ha costituito il cuore pulsante di questo processo di rigenerazione urbana, condensando al suo interno le maggiori trasformazioni dal punto vista socio-economico e urbanistico. Allo stesso tempo, i cambiamenti occorsi nell’antica area portuale costituiscono un osservatorio privilegiato per comprendere l’efficacia del modello di politica urbana praticato in Irlanda per oltre un ventennio quanto anche alcuni suoi limiti e contraddizioni. Alcune sfide rimangono tuttora aperte ed in queste brevi note conclusive si proverà a delinearne i contorni.
La prima questione è riuscire a riadattare il modello di sviluppo promosso negli ultimi due decenni, sia nel contesto di incertezza ed instabilità che caratterizza l’attuale scenario economico globale, sia mantenendo un certo grado di equilibrio nel sistema urbano irlandese nel suo complesso. Il profilo delle attività economiche localizzatesi nella regione urbana di Dublino nella fase del boom economico – servizi avanzati alle imprese, tecnologie informatiche, servizi finanziari – risultano strettamente legati a particolari risorse urbane, che si trovano in larga misura nella capitale. Sebbene altre centri urbani dell’Irlanda siano stati in grado di attrarre imprese multinazionali (come il caso dell’industria farmaceutica a Cork o dell’alta tecnologia a Limerick) Dublino è un classico di polarizzazione, con una dimensione demografica e di attività economica più che doppi rispetto alla seconda città del paese. Ora la principale sfida della politica urbana nazionale appare scongiurare che lo sviluppo della capitale vada ulteriormente a svantaggio di altre regioni del paese, le quali scontano un gap di sviluppo con la capitale già particolarmente rilevante ed hanno dimostrato un minore grado di resilienza agli effetti della crisi.
Una seconda questione riguarda i differenziali di sviluppo urbano all’interno della città e tra l’area centrale e la sua regione metropolitana. All’interno della città i risultati più convincenti sono stati ottenuti dalla concentrazione di iniziative di rigenerazione urbana in aree ristrette, caratterizzate da particolari situazioni di degrado e da un maggiore potenziale in termini di valorizzazione economica. La concentrazione delle politiche di sviluppo in alcune aree, tra le quali quella dei Docklands appare nettamente la più significativa, si presta tuttavia anche a qualche considerazione critica.
Ad esempio, la mancanza di deliberate strategie di integrazione della vecchia area portuale con il resto della città ha avuto come risultato la creazione di una “città all’interno della città”, esacerbando alcune differenze con il sistema urbano circostante. Mentre nel cuore dei Docklands un numero rilevante di edifici sono stati creati per funzioni pubbliche (ad esempio il Bord Gais Energy Theatre al Grand Canal Dock o il National Convention Centre allo Spencer Dock), ai suoi margini alcune aree residenziali mancano di servizi pubblici essenziali quali uffici postali, scuole, servizi sanitari e attività commerciali a buon mercato.
La scintillante modernità di alcuni edifici residenziali, in realtà, continua a celare situazioni difficili dal punto di vista economico per molti abitanti, alle prese con unità abitative inadeguate alla propria struttura familiare e mutui insostenibili sul piano finanziario. Allo stesso tempo, sebbene buona parte dei quartieri sia stato completamente riqualificato, ancora ampie porzioni dei Docklands sono caratterizzati da un paesaggio urbano semi-abbandonato.
La questione dell’housing, in particolare, rimane un nodo sostanzialmente irrisolto. Mentre lo Stato è divenuto uno dei maggiori proprietari di aree nella zona attraverso le acquisizioni della National Asset Management Agency, il governo si guarda bene dal rivendere parte dello stock residenziale acquisito per paura di deprimere ulteriormente il già devastato mercato immobiliare. A Dublino, come altrove in Irlanda, la questione abitativa si lega dunque al fenomeno diffuso delle ghost estates, ovvero il surplus di complessi residenziali generato durante il boom economico e che si trovano sostanzialmente fuori dal mercato. Tutto ciò in una situazione sociale in cui la domanda abitativa a canoni controllati non tende ad attenuarsi.
Nelle strategia di uscita dalla peggiore crisi economica affrontata dall’Irlanda sin dalla sua Indipendenza, una domanda ricorrente è come ciò si sarebbe potuto evitare per non incorrere nei medesimi errori nel prossimo futuro. Al cuore del problema vi sono questioni estremamente complesse dal punto di vista politico, quali la governance delle politiche territoriali e la regolazione del mercato finanziario. Un risposta sempre più chiara è che tali sviluppi sono stati possibili solo attraverso strette relazioni tra soggetti pubblici e privati al più alto livello istituzionale, tanto che le ingerenze sulla pianificazione e lo sviluppo di diversi progetti urbani sono tuttora oggetto di indagine da parte della magistratura. L’approccio neoliberale allo sviluppo urbano così estesamente praticato nei Docklands e a Dublino in generale, fondato sulla concessione di poteri molto estesi a soggetti semi-privati o interamente privati, ha avuto come diretta conseguenza una larga deregolamentazione delle attività di pianificazione ed una speculazione edilizia tollerata in ragione delle ingenti entrate fiscali che essa riusciva a garantire.
La crisi economica, oltre a mettere in seria discussione questo modello, ha compromesso la legittimità delle agenzie di sviluppo ed ha gettato discredito sul sistema di pianificazione irlandese nel suo complesso. Oggi dunque le maggiori difficoltà si riscontrano, nel clima di austerità imposto dalla crisi, nel fatto che lo Stato non è nelle condizioni di completare molti dei progetti lasciati incompleti, né di incentivare ulteriormente il settore privato affinché possa sostituirsi ad esso. Paradossalmente, mentre molti dei maggiori operatori immobiliari privati in Irlanda sono sostanzialmente scomparsi e le banche sopravvissute alla crisi sono restie a concedere prestiti dedicati allo sviluppo di progetti immobiliari, lo Stato irlandese si trova ad essere il maggiore operatore immobiliare del paese.
Da questa prospettiva, appare chiaro che una nuova fase di sviluppo della città dovrà essere gestita attraverso la creazione di una strategia urbana condivisa che tenga insieme crescita e qualità territoriale e di modelli di governance politicamente più responsabili. Da molti osservatori viene invocata una revisione del sistema di pianificazione a livello nazionale, in maniera che la flessibilità acquisita nell’attrazione di investimenti e nello sviluppo di progetti urbani riesca a garantire in futuro benefici più diffusi sul piano economico e sociale.

[1Si veda, solo per fare riferimento al caso europeo, tra gli altri Martin e Rowthorn (1986), Cheshire e Hay (1989), Hall (1993), Couch et al. (2003).

[2Cfr. Moore, 1999; McGuirk, 2000; McGreal et al., 2002; Punch, 2009; Van Melik e Lawton, 2011.

[3Per area metropolitana di Dublino (Greater Dublin Area) ci si riferisce in genere alla agglomerazione costituita dalla Dublin Region (a sua volta formata da Dublin City, Dún Laoghaire–Rathdown, South Dublin e Fingal) e le contee di Meath, Kildare e Wicklow. Globalmente, la popolazione della GDA arriva a circa 1,8 milioni di abitanti (circa 39% della popolazione nazionale), mentre la Dublin Region conta poco più di un milione di residenti, di cui la metà all’interno del perimetro della municipalità di Dublino.

Data di pubblicazione: 6 giugno 2013