Urbanistica INFORMAZIONI

Dopo il XXVIII congresso dell’Inu – Intervista alla presidente Silvia Viviani

Il Congresso di Salerno è stato un appuntamento importante e certamente un successo per l’Inu in quanto è risuscito a coinvolgere in una riflessione strategica per il futuro: “Città come motore di sviluppo per il Paese”, non solo tutti i soci dell’Istituto, ma anche professionisti, funzionari pubblici, studiosi, politici e amministratori.

Quale bilancio e quali prospettive si aprono per il governo del territorio e per la centralità della città, anche in prospettiva della nuova programmazione europea 2014-2020, quali le domande al governo e come può essere definito il ruolo degli urbanisti.
Al Congresso di Salerno i contributi di sezioni regionali, commissioni e gruppi nazionali dell’INU rivelano la necessità di un’idea comune, conducono a un bilancio critico e nel contempo confermano la necessità del progetto urbanistico e delle azioni di governo delle trasformazioni territoriali, non separabili da un’idea di società. Un esercizio faticoso, da condurre in condizioni avverse, che, inoltre, può essere ulteriormente ostacolato da una propensione dell’urbanistica – e dell’urbanista- a caricarsi di mali non propri e a riempirsi di contenuti mutuati da altre discipline. Un esercizio, tuttavia, necessario e affascinante, nel quale possiamo utilizzare gli sguardi attenti ed esperti che connotano la nostra formazione, le nostre ricerche e le nostre esperienze di conoscitori e progettisti di città, per interpretare i fenomeni e le forme urbane, tracciare soluzioni, definire strumenti e regole, individuare azioni e pratiche, riaprire spazi, materiali e immateriali.
Questioni come partecipazione e rappresentanza, visione al futuro e governo, politiche integrate, efficacia deliberativa, coesione sociale, città pubblica, solidarietà e intelligenza attraversano le riflessioni nei diversi contesti. I temi del federalismo e della centralizzazione, degli assetti, dei compiti e delle responsabilità, le parole chiave come identità, partecipazione, confine, responsabilità ricorrono nei contributi con i quali il “mondo INU” ripensa alla propria agenda. E’ un mondo variegato, che riflette le diversità di contesto e di approccio, lo stato delle politiche e delle istanze culturali, le condizioni strutturali e i portati storici. Spesso i termini ricorrono, il linguaggio, che pare unitario, si rivela una successione di echi. Appare necessaria la ricomposizione intorno a un progetto comune, che possa essere proposto per garantire in tutto il Paese la risposta alle tensioni e alle aspettative delle popolazioni insediate, relative a servizi, sicurezza e qualità estetica, salvaguardia dei territori e dell’ambiente, tenuta e riproduzione dei paesaggi, civismo urbano e inclusione sociale, decoro degli spazi di vita e del lavoro.
Troppo a lungo l’urbanista si è trovato in mezzo a molte voci e in processi complicati, oggetto di accanimenti procedurali, senza che gli venisse chiesto un progetto di città, piuttosto chiavi di lettura, mediazioni terapeutiche da professionista specializzato in percorsi guidati: lunghe elaborazioni, rassicuranti, di quadri conoscitivi, assistenza nelle interminabili conferenze dei servizi, coinvolgimento improprio nella mitigazione dei conflitti. Il posto in società per l’urbanista contemporaneo, capace di riprendere parola, autorevole, può essere ritrovato a partire dalla convinzione, che non può restare autoreferenziale, che egli disponga di una sua cassetta degli attrezzi per ideare, comporre, ridistribuire un assetto funzionale e formale della città, migliore. Cedere alla tentazione di colmare le lacune della politica con la tecnocrazia alimenta la sfiducia nelle istituzioni, frena un percorso nel quale distinguere piani, progetti e politiche. Diverso invece è un serio interrogarsi su autorevolezza e competenza, responsabilità e comunicazione. Si tratta, anche, della dimensione etica della nostra competenza professionale.

Città motore di futuro, difesa del suolo, sicurezza dei cittadini, sono parole d’ordine che a fronte dei cambiamenti socio economici degli ultimi decenni e a fronte della “normalità delle catastrofi”, debbono assumere un significato diverso ed un approccio diverso. I paradigmi che avevano cercato di guidare l’espansione urbana del nostro paese non sono (e forse non erano) più validi. Quali le riflessioni emerse dal congresso e le direttrici di azione per il prossimo futuro.
Il periodo riformista che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni ha visto un rinnovamento quasi totale della legislazione regionale. I principi della prevenzione dei rischi, della difesa dei valori ambientali e paesaggistici, della riqualificazione della città esistente e della produzione di nuovi patrimoni territoriali sono stati assunti come base della sostenibilità della pianificazione. Tuttavia permangono inerzie, incertezze, ridondanze, si stressano le procedure, si allungano i tempi.
La frammentazione regionalista e la proliferazione di piani e di leggi, generali e di settore, non aiutano per l’integrazione e il coordinamento delle politiche, necessarie per il corretto governo della conservazione e della trasformazione del territorio. Occorre un’azione congiunta e raccordata, coerente e coesa, che non può essere ricavata dalla mera sommatoria dei piani o da ipotesi di riassetti istituzionali che non si poggiano sulla formazione di una classe dirigente, politica e tecnica, impegnata e preparata.
Le condizioni attuali del Paese non giustificano la perdita di centralità dell’urbanistica nelle agende politiche e semmai spingono a ribadire le convinzioni di una disciplina e di una professionalità le cui utilità sono innegabili rispetto alle condizioni e ai caratteri delle istanze sociali e delle forme urbane contemporanee.
Dal Congresso di Salerno emergono direttrici di lavoro chiare, che indicano strumenti e metodi per città sostenibili, intelligenti. Hanno bisogno di piani e di progetti, energie e risorse: reti, tutela dei beni comuni e primari, quartieri ecologici, recuperi di spazi aperti resilienti alle risorse naturali, mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, difesa dei suoli e prevenzione, produzione sociale degli spazi pubblici, un ritorno di attenzione alla forma, nuove economie urbane, un procedere per parti e per coerenze. Parliamo di tolleranza, compatibilità, sicurezza, servizi alla persona, mobilità, benessere, qualità estetica, funzionalità, di un’idea di città come infrastruttura funzionale e territoriale a sostegno della società e dell’economia, con uno sguardo non vincolato dai limiti amministrativi ma attento ai luoghi, con un approccio riferito alle condizioni di contesto e al mutare delle condizioni, che richiede la capacità di gestire processi. A questa idea corrisponde la questione della coesione sociale, territoriale e istituzionale, alla quale far corrispondere una filiera di strumenti per il governo della città, per utilizzare i fondi strutturali comunitari e contrastare la rendita urbana, per coinvolgere le cittadinanze e produrre nuovo welfare urbano (nel quale va inquadrato il social housing, altrimenti destinato a politica settoriale).
Anche la prevenzione e la salvaguardia indicano la centralità della città, quale sistema funzionale complesso ed erogatore di servizi. I bilanci successivi agli eventi calamitosi dimostrano che è la perdita della città intesa come forma aggregativa di persone e attività che, nel suo insieme, determina costituzione di socialità. Ben oltre la protezione o la ricostruzione dei singoli edifici o manufatti, l’efficienza della pianificazione consapevole degli obiettivi della sicurezza comporta governare la trasformazione urbana, negli aspetti fisici come in quelli della funzionalità, in modo da non aumentare gli esistenti livelli di rischio tanto quanto da ridurli, facendo convergere le risorse pubbliche e private mobilitate nella trasformazione verso l’azione prioritaria della riduzione preventiva.
Tutto ciò induce a praticare il rinnovo sostanziale e non formale del piano, a promuovere il concorso dei saperi specifici e il riconoscimento delle professionalità che li presidiano, all’individuazione di incentivi fiscali appositamente dedicati, legati alle misure per la casa e i servizi urbani, alla definizione di nuovi standard qualitativi di efficienza territoriale, che comprendano la messa in sicurezza, le bonifiche, la riqualificazione ambientale, l’incremento delle reti per la sostenibilità delle attività umane.

L’Inu ha confermato la necessità di disporre di un piano profondamente innovato e di una legge di principi indispensabile per correggere le “soluzioni impazzite del mosaico regionale” emerse dalle riforme degli anni 2000, e a fianco di questo tema a posto alcune questioni certamente imprescindibili:
- il contenimento del consumo del suolo
- la rigenerazione del patrimonio esistente
- il contenimento dello spreco energetico
- i vecchi standard e il nuovo welfare.
Come e con quali strumenti gli urbanisti e l’Inu possono condurre una azione efficace per affrontarle e per porre le condizioni di risolverle.

La stagione dei nuovi strumenti della pianificazione ha mancato di cogliere appieno i fenomeni ingenti di trasformazione sociale ed economica che erano in corso, o, per dirlo meglio, di anticiparne le criticità. Tale trasformazione ha a che fare con le dinamiche demografiche e con i flussi migratori, con la mescolanza di popolazione giovanile e studentesca e delle nuove famiglie immigrate, con le diverse facce del turismo e del lavoro, con le conseguenze strutturali della crisi e con la frammentazione sociale, con la perdita di autorevolezza delle istituzioni e la distanza del cittadino, con la mancata capacità di condividere progetti d’infrastrutturazione territoriale fra istituzioni locali. L’individuazione della dimensione territoriale di queste trasformazioni può ancora rappresentare uno dei contributi più importanti allo sviluppo da parte della pianificazione strutturale, decisamente di area vasta. Ci si riferisce a progetti che concretizzino l’interdipendenza dei territori e ne diminuiscano la conflittualità, ai quali corrisponda la distribuzione efficiente delle risorse. La progettazione d’area vasta presuppone l’impegno alla solidarietà e il contrasto alla competizione, (questo il significato della perequazione territoriale), contribuisce a rafforzare l’identità territoriale, richiede un patto tra attori dotati di responsabilità (istituzionali, culturali, economici, sociali). In molti casi ci si dovrà misurare con la completa metropolizzazione di vaste aree, tutta da riprogettare, con robuste quote di sostituzioni dello stock edilizio insostenibile dal punto di vista dell’efficienza ecologica, con necessarie infrastrutturazioni che permettano una mobilità meno dipendente dal trasporto privato su gomma, con operazioni perequative che producano bilanci energetici e ambientali positivi. In altre condizioni, la rete da assoggettare a interventi di salvaguardia e di miglioramento può ancora comporre un sistema policentrico ove i luoghi siano riconoscibili e la componente ambientale non sia residuale.
Peraltro, le azioni europee di sostegno economico alle città segnalano che l’approccio congiunto è premiale, sotto ogni aspetto. Le risorse disponibili andranno alle città che dimostrano l’impegno nell’innovazione, con particolare rilievo alla rigenerazione dello stock edilizio e all’efficienza energetica, all’efficienza dei trasporti e all’intelligenza delle reti. Esse inducono alle politiche di coordinamento, alla cooperazione urbana e territoriale. Andranno laddove sarà chiara la strategia politica di governo.
Riteniamo che, se il futuro delle nostre città non può più essere atteso o pre-veduto ma va scelto e costruito, ha ancora senso un processo di governo nel quale si definiscano piattaforme strutturali e azioni di urbanistica operativa, per le profonde differenze delle rispettive efficacie e di contenuto. Si tratta di gestire progetti che matureranno in condizioni diverse dal presente, che dobbiamo rendere valutabili e comparabili, in quanto riferiti a un “ordine condiviso”, il piano pubblico, partecipato e sostenibile, e in quanto concorrenti alle politiche pubbliche, determinabili e integrabili in relazione a quel piano.
Si tratta anche del rinnovo delle componenti riferite ai costi e ai benefici, agli incrementi di valore dei suoli urbani e alla corresponsione delle quote necessarie alla rigenerazione della città esistente. L’economia urbana è stata a lungo ostaggio della rendita immobiliare, organica alla speculazione finanziaria. Lo scambio tra urbanizzazione, fiscalità locale e spesa pubblica non è più sostenibile e viene investito da connotazioni etiche non sottovalutabili. Se le periferie nate da piani attuativi unitari possono essere oggetto di programmi di sostituzione e di ricostituzione di luoghi dotati di senso, è per le parti della città nate come sommatoria di pratiche edilizie (le “vecchie” zone B) che la carenza di città pubblica richiede un intervento pubblico tanto di microscala quanto di riefficientamento complessivo. Impossibile pensare che le risorse necessarie possano provenire dagli oneri applicabili a puntuali interventi su edifici e complessi, utili per l’aumento delle qualità abitative. Una nuova fiscalità va, pertanto, riferita all’incremento di valore diffuso del suolo urbano che consegue agli interventi infrastrutturali di rete (trasporto pubblico, adeguamento dei sottoservizi, nuove dotazioni per la comunicazione). Quanto, invece, alla costruzione di nuova città derivante dal recupero delle aree dismesse, dei complessi abbandonati, degli insediamenti produttivi interclusi fra parti di città, non si può non ripensare al sistema degli standard, nei quali occorre inserire bonifiche, demolizioni, risanamenti, opere di messa in sicurezza. Non v’è dubbio circa la valenza strategica del rinnovo d’uso dei complessi dismessi o sottoutilizzati, localizzati in genere in ambiti urbani centrali, spesso rappresentativi della cultura nazionale e dotati di valori storico-artistici. Non tutti possono contemporaneamente essere “messi sul mercato”, né per tutti è possibile pre-vedere la miglior destinazione funzionale. La sequenza piano generale - piano attuativo – progetto/pratica edilizia è del tutto scollata dalla realtà e, per paradosso, contrasta il raggiungimento delle qualità. I progetti dovrebbero poter esprimere il meglio delle capacità tecniche e imprenditoriali, farsi carico delle utilità sociali come valore intrinseco persino alla competizione commerciale. Fissato il quadro stabile dei “paletti non negoziabili”, i progetti vanno valutati, sottoposti a modalità concorsuali, messi in concorrenza, resi noti e partecipati, finanche nel loro divenire. Il lavoro che si svolge alla scala urbana è un esercizio attento al dettaglio, un processo nel quale architettura e urbanistica si confrontano e si sostengono reciprocamente, che non può essere segmentato secondo gerarchia. E’ un processo nel quale, disponendo di attrezzi diversi, ci si occupa di spazi e delle loro relazioni, degli effetti estetici provocati, delle agevolazioni funzionali prodotte, dell’incremento di “città pubblica”, della capacità di indurre comportamenti urbani, ossia decorosi e rispettosi delle diversità delle parti di città e delle differenze fra usi, bisogni, aspettative. A tal fine devono essere promossi progetti che si propongono di modificare le condizioni urbane, liberare conoscenze e capacità creative, riabilitare e produrre luoghi di incontro e di aggregazione, integrare ambienti di apprendimento, di ricerca e di lavoro.
L’INU ha un patrimonio di risorse culturali, professionali, territoriali che può essere utilizzato per reagire alla perdita delle posizioni teorico-politiche, amministrative, gestionali, di controllo e di consenso, che si è accompagnata allo sviluppo immobiliarista degli anni Duemila e che ci fa aggirare, oggi, fra macerie invisibili.

Data di pubblicazione: 25 gennaio 2014