Urbanistica INFORMAZIONI

Dilemmi del tempo propizio

Nella sua continua ricerca dei momenti più opportuni per esercitare quella funzione di valutazione e decisione che tradizionalmente gli compete, il governo del territorio si imbatte di frequente nei rischiosi cortocircuiti di una disciplina che, se riesce a controllare con fatica le variabili spaziali, incontra difficoltà quasi insuperabili quando deve confrontarsi con la velocità e la durata delle trasformazioni, anche di quelle più direttamente imputabili alle sue iniziative. È in questa tensione tra lo spazio ed il tempo del planning che si collocano i dilemmi del ’tempo propizio’ e, di conseguenza, anche la difficoltà delle politiche pubbliche di riconoscere e avvalersi delle finestre di opportunità che si aprono in momenti di crisi o di discontinuità.
La pianificazione, nata come strumento di razionalizzazione dello spazio, è oggi costretta a misurarsi con la dimensione temporale della trasformazione territoriale. I processi di sviluppo, di rigenerazione o di ricostruzione non si dispiegano più secondo una linearità prevedibile, ma seguono ritmi intermittenti, segnati da accelerazioni, sospensioni e ricadute. La sfida non è più solo “dove” intervenire, ma “quando” e “per quanto tempo” mantenere aperta una traiettoria di cambiamento (Dematteis 2001).
è solo il caso di ricordare che i mutamenti che hanno interessato i processi di urbanizzazione negli ultimi decenni hanno trasformato in modo profondo anche il rapporto tra politica e pianificazione. Se nella fase di più accelerato inurbamento il piano rappresentava un atto tecnico di traduzione della volontà politica in forme spaziali stabili, oggi esso si configura come un dispositivo negoziale e processuale, all’interno di una rete di attori pubblici e privati. Come osserva Lefebvre (1974), lo spazio urbano non è mai un contenitore neutro, ma il prodotto di relazioni sociali e politiche che si riproducono nel tempo: ogni scelta di pianificazione riflette, quindi, un equilibrio temporaneo di poteri e interessi.
In parallelo, la crescente discontinuità e l’imprevedibilità dei processi urbani ha accentuato, nella “società dell’azione e dell’incertezza” – la distanza tra il tempo breve della politica e i tempi lunghi e intermittenti delle dinamiche territoriali (Ascher 2001). Da questa contrapposizione sembra derivare la necessità di un piano capace di adattarsi, di governare i tempi del mutamento e di costruire nel tempo un consenso attorno alle traiettorie del cambiamento, trasformandosi così in un vero e proprio strumento di governance.

Finestre di opportunità e congiunture favorevoli al cambiamento

In un recente contributo che ho dedicato ad una applicazione dei principi della resilienza trasformativa alle aree interne del Centro Italia (Talia, in corso di pubblicazione), ho avuto modo di discutere del concetto di window of opportunity, e della possibilità che ogni evento critico – che si tratti di un terremoto, di una crisi economica o sanitaria, o di un flusso straordinario di risorse – possa aprire un varco temporaneo nel quale problemi, soluzioni e volontà politiche tendono ad allinearsi, rendendo possibile ciò che in condizioni ordinarie risulterebbe improponibile.
Naturalmente questa congiuntura favorevole al cambiamento ha una durata limitata, che dipende dalla capacità dei soggetti ed attori della pianificazione di riconoscerne le potenzialità, e tradurle in un’azione risoluta e coerente. Laddove invece non si è in grado di cogliere tale occasione, si è costretti ad assistere ad un rapido esaurimento delle condizioni favorevoli al cambiamento, e al disperdersi delle energie che erano state attivate.
Seguendo questo schema interpretativo non possiamo fare a meno di considerare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza avrebbe potuto rappresentare, per l’Italia, un raro allineamento dei “flussi” che secondo John Kingdon (1984) caratterizzano le windows of opportunity: il flusso dei problemi, quello delle soluzioni e quello della politica. La crisi pandemica aveva infatti reso manifesto un bisogno condiviso di trasformazione – nelle infrastrutture, nei servizi, nelle istituzioni – mentre le risorse europee previste dal programma Next Generation EU avrebbero potuto fornire un orizzonte finanziario straordinariamente favorevole.
Non solo; sul versante istituzionale l’emergenza sanitaria aveva temporaneamente sospeso le consuete inerzie politiche, dando vita ad una congiuntura in cui un cambiamento radicale appariva finalmente possibile.
Eppure, quella finestra si è richiusa senza che le promesse di riforma si traducessero in un effettivo mutamento di paradigma. Il PNRR si è progressivamente trasformato in un dispositivo amministrativo più che in un progetto strategico: una somma di bandi e procedure, spesso frammentate e disallineate rispetto alle reali capacità di attuazione dei territori.
L’urgenza del "fare presto" ha finito per prevalere sulla necessità di “fare bene”, e la logica della spesa ha sostituito quella della trasformazione (Boeri e Perotti 2023). Ciò che è mancato non sono state soltanto le competenze o le risorse, ma una vera governance del tempo capace di gestire la sequenza delle decisioni, i ritmi dell’attuazione e la durata dei processi di apprendimento. Il ritmi della politica – scandito dalle scadenze elettorali e dalle pressioni mediatiche – si è scontrato con quello dell’amministrazione e, ancor più, con quello del territorio, che richiede invece maturazione, negoziazione e fiducia.
In questo modo, la finestra di opportunità aperta dalla crisi pandemica non è stata colta, e il PNRR si è configurato come un’occasione ’fuori tempo’: nata in emergenza, ma quasi mai in grado di evolvere in progetto. Esso rappresenta così un caso paradigmatico di opportunità mancata, in cui l’incapacità di sfruttare il momento favorevole rischia di generare effetti regressivi nei prossimi anni, tanto sul piano economico quanto su quello politico.
è opportuno sottolineare come il nostro Paese rischi di pagare molto caro questo insuccesso. Già il prossimo anno gli interventi programmati dovranno giungere a compimento, ma le previsioni di un ulteriore rallentamento del Pil mostrano che stiamo perdendo la scommessa contratta nel 2021, quando si confidava che l’enorme flusso di risorse – 237 miliardi da spendere entro il 2026 – e le riforme di sistema che ci eravamo impegnati a realizzare avrebbero incrementato in modo strutturale il tasso di crescita dell’economia italiana, consentendo di non aumentare, o addirittura di ridurre, il debito pubblico (Boeri e Perotti 2023: 10).
Vale la pena di ricordare che, nei mesi in cui il Parlamento si apprestava a varare il Piano, alcune voci – tra cui la nostra – avevano invocato un approccio autenticamente riformista, come peraltro ci sollecitava l’Europa, “nei confronti della società, dell’ambiente, della città e della stessa economia di mercato” (Talia 2020).
Poco tempo dopo l’Italia ha effettivamente deciso di accompagnare le linee di intervento del PNRR con una vasta strategia di riforme, ben 66 in totale, con la significativa assenza, tuttavia, di una nuova legge sul governo del territorio. L’obiettivo era quello di rafforzare l’equità, l’efficienza e la competitività del Paese, ma a cinque anni di distanza siamo in grado di valutare i risultati di questo ambizioso programma.
A fronte di alcuni limitati passi in avanti nella efficienza amministrativa, l’equità fiscale e la governance territoriale restano i punti più deboli, e la riforma costituzionale della magistratura, che pure si distingue come l’unico intervento realmente incisivo sul piano istituzionale, si rivela al tempo stesso assai controversa e, nei fatti, incapace di assicurare effettivi miglioramenti nel funzionamento della giustizia.

Tempi asincroni delle politiche territoriali

I problemi incontrati dal PNRR non costituiscono fenomeni isolati, ma si inscrivono in quella traiettoria più ampia che caratterizza da decenni le politiche territoriali italiane. Anche le strategie dedicate alle aree interne e ai territori colpiti da calamità naturali rivelano infatti una stessa difficoltà a coniugare il tempo dell’urgenza con quello della trasformazione.
In entrambi i casi, le politiche pubbliche sembrano destinate ad oscillare tra la rapidità imposta dall’emergenza e la lentezza strutturale dei processi di sviluppo locale, senza riuscire a trovare un ritmo comune (Barca 2019).
Nel caso delle aree interne il tempo dell’innovazione è sicuramente un tempo lungo, che richiede fiducia, continuità, relazioni, e una governance che accompagni i territori nel riattivare risorse spesso latenti. Al contrario la logica dei finanziamenti a termine, dei bandi a scadenza e dei cicli di programmazione tende a comprimere queste dinamiche, costringendo le amministrazioni locali a inseguire progetti episodici anziché costruire visioni di lungo periodo. Si produce così una frattura insanabile tra il tempo amministrativo e quello comunitario, tra le scadenze affannose imposte dalla politica e la lenta durata delle trasformazioni territoriali.
Dinamiche analoghe emergono con evidenza nei contesti colpiti da calamità naturali, dove il bisogno di un intervento immediato prevale quasi sempre sulla pianificazione della ricostruzione. Laddove l’urgenza produce visibilità politica e decisioni rapide, il bisogno di un innesco immediato dell’intervento programmato tende a lasciare nell’ombra la fase successiva – quella lenta, negoziata e complessa – del ripensamento territoriale. Anche qui, il ’tempo propizio’ si consuma in fretta: l’attenzione pubblica si sposta altrove, i meccanismi di spesa prendono il sopravvento, e la ricostruzione diventa un processo amministrativo più che un’occasione di rigenerazione territoriale (Moccia 2021).
In tutti questi casi, ciò che manca non è tanto la capacità di definire gli obiettivi, e nemmeno la disponibilità di risorse adeguate, quanto piuttosto la capacità di orchestrare opportunamente i tempi dell’azione pubblica: sapere cioè quando accelerare o quando rallentare, quando confermare il senso di marcia o quando cambiare direzione. Ne consegue pertanto che il “tempo propizio” non può coincidere con l’urgenza, ma piuttosto con la possibilità di realizzare la convergenza di istituzioni, attori e territori attorno ad un progetto comune.
È qui che la pianificazione dovrebbe ritrovare la propria funzione più autentica: quella di governare non solo lo spazio, ma anche il tempo della trasformazione.

Conclusione: il kairos del governo del territorio

Ogni politica pubblica, per quanto tecnicamente fondata o finanziariamente supportata, dipende in ultima istanza dalla capacità di riconoscere il proprio tempo propizio. Le riforme non maturano solo attraverso la dotazione di risorse e la predisposizione di un quadro progettuale e normativo, ma grazie ad una regia temporale che sappia cogliere il momento nel quale le condizioni del cambiamento sono in grado di allinearsi. È ciò che i Greci chiamavano kairos: il tempo opportuno, distinto dal chronos della mera successione cronologica.
Governare, in questa prospettiva, significa soprattutto saper leggere i segni del tempo, che ci inducono ad anticipare o a ritardare l’azione in funzione di una visione, e non di una semplice scadenza (Ostrom 2005).
Nel governo del territorio questa dimensione è particolarmente cruciale. Le trasformazioni spaziali sono lente e tendono alla sedimentazione, ma le finestre decisionali che le rendono possibili si aprono e si chiudono in tempi brevi.
Ne consegue l’esigenza di istituzioni capaci di apprendere, adattarsi ed agire in modo flessibile: un’amministrazione del territorio che non confonda la velocità con l’efficacia, né la lentezza con l’inerzia. Una governance del kairos dovrebbe fondarsi su una pedagogia del tempo pubblico, che restituisca valore alla durata, alla cura e alla continuità, senza rinunciare alla prontezza del cambiamento quando esso si rende possibile.
In fondo, il vero ’dilemma del tempo propizio’ è questo: comprendere che le opportunità non si danno una volta per tutte, ma si costruiscono nel tempo.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, le politiche per le aree interne e la ricostruzione post-calamità mostrano che i principali insuccessi non dipendono solo dal non aver fatto abbastanza, ma piuttosto dal non aver agito nel momento opportuno.
Ricostruire una cultura del kairos – un’arte di sincronizzare spazio, decisione e trasformazione – è forse la condizione necessaria perché la pianificazione torni ad essere non solo tecnica di governo, ma anche esercizio appropriato di intelligenza collettiva.

Riferimenti bibliografici

Ascher F. (2001), Les nouveaux principes de l’urbanisme, Editions de l’Aube, Parigi.
Barca F. (2019), Un futuro più giusto. Rabbia, conflitto e giustizia sociale, Laterza, Bari.
Boeri T., Perotti R. (2023), PNRR. La grande abbuffata, Feltrinelli, Milano.
Dematteis G. (2001), Le metafore della Terra, Feltrinelli, Milano.
Kingdon J. W. (1984), Agendas, Alternatives and Public Policies, Little, Brown, Boston.
Moccia F. D. (2021), Il governo del territorio dopo le emergenze, Clean, Napoli.
Ostrom E. (2005), Understanding Institutional Diversity, Princeton University Press, Princeton.
Talia M. (2020), "I tempi dell’urbanistica (e quelli del PNRR)", Urbanistica Informazioni, no. 292, p. 6-7.
Talia, M. (in corso di stampa), “Postfazione”, in M. Sargolini, G. Brunetta, P. Galuzzi, D. Radogna, P. Vitillo (a cura di), Resilienza trasformativa nelle aree interne del Centro Italia, Carocci, Roma.

Pubblicato il 24 novembre 2025